ANDREA ROSSET + MARINA FORNASIER // Still Life
INAUGURAZIONE E BOOK LAUNCH: Sabato 5 maggio dalle 19
dal 5.5 al 2.6.2018
INAUGURAZIONE E BOOK LAUNCH: Sabato 5 maggio dalle 19
dal 5.5 al 2.6.2018
Andrea Rosset
Marina Fornasier Still Life a cura di Barbara Fragogna Inaugurazione e presentazione della Limited Edition sabato 5 maggio - h. 19 dal 5.5 al 2.6.2018 Gio - Sab // 16 - 19.30 e su appuntamento SPECIAL EVENT:::
Sabato 12 maggio in galleria: Presentazione dell'EDIZIONE LIMITATA Still Life edita da Edizioni Inaudite. In occasione della Notte bianca della fotografia e in concomitanza col SALONE DEL LIBRO la galleria seguirà i seguenti orari: dalle 16 alle 24 |
Andrea Rosset website
Nell'ambito della prima edizione di Fo.To. Fotografi a Torino, che si svolge dal 3 maggio al 29 luglio 2018
Fusion / Inaudita è un progetto di
Associazione INAUDITA In collaborazione con: Edizioni Inaudite, Fo.To - Fotografi a Torino, Museo Ettore Fico, ContemporaryArt Torino+Piemonte, COLLA/To contemporary art network NEsxT / Independent Art Network |
La Fusion Art Gallery - Inaudita presenta la mostra Still Life di Andrea Rosset in collaborazione con Marina Fornasier. Still life è un’installazione fotografica, realizzata con le immagini di Elisa, 107 anni, e Marina, sua nipote, 28 anni. Il lavoro ruota intorno ai corpi delle due donne, confrontati secondo una struttura antinomica di contrasti e assonanze. In sede d’inaugurazione e il 12 maggio in occasione della Notte bianca della Fotografia, sarà presentata l’edizione limitata Still Life edita da Edizioni Inaudite.
La mostra rientra nell'ambito della prima edizione di Fo.To. Fotografi a Torino, che si svolge dal 3 maggio al 29 luglio 2018 ed è promossa e realizzata dal MEF - Museo Ettore Fico in collaborazione con le realtà aderenti all'iniziativa, la kermesse è stata ideata dal direttore del MEF, Andrea Busto.
Fusion/Inaudita è parte dei circuiti NEsxT – Indepentent Art Festival, COLLA e di ContemporaryArt Torino e Piemonte.
La mostra rientra nell'ambito della prima edizione di Fo.To. Fotografi a Torino, che si svolge dal 3 maggio al 29 luglio 2018 ed è promossa e realizzata dal MEF - Museo Ettore Fico in collaborazione con le realtà aderenti all'iniziativa, la kermesse è stata ideata dal direttore del MEF, Andrea Busto.
Fusion/Inaudita è parte dei circuiti NEsxT – Indepentent Art Festival, COLLA e di ContemporaryArt Torino e Piemonte.
Il giudice immobile del manifesto ciclico
di Barbara Fragogna
"C'è un tempo e un luogo giusto perché qualsiasi cosa abbia principio e fine." - Miranda da Picnic ad Hanging Rock di Peter Weir
Tempo. Inquieta dimensione. Giovane, vecchio, prima e dopo, futuro nel presente, presenza del passato. Inizio, fine, continuum. Alterco palpabile d’ingannevole tensione. Circolo, matassa, vortice, ritorno. Uroboro in potenza. Stadio primordiale di rigenerazione effimera. Archeologia del guscio, uovo cosmico.
Nel progetto Still Life di Andrea Rosset in collaborazione con Marina Fornasier il flusso del tempo incarnato nell’età delle protagoniste degli scatti (107 Elisa e 28 Marina) mette in atto il perpetuo movimento che penetra lo spazio curvo permeandone i pori e irrorandolo di materia vitale alchemica e liquida. La pelle è la superficie/paesaggio in cui lo sguardo va e torna, si ritrova, cammina sicuro riconoscendone codici, tappe e meccanismi, la nostra banale vita, la sua decadenza, il suo fiorire. Il contesto è il luogo delle contraddizioni che si completano. Oggetti, figure, textures, sensazioni complementari che predicono un quotidiano ineluttabile. Nell’antitesi si genera una silenziosa fusione, la tensione delle forze coinvolte sbatacchia tra la gola e lo stomaco, sono i sensi ad esserne travolti, prima di tutto, prima di pensare, prima di capire. L’ovvio empirico dell’esperienza diretta si manifesta in ricordi famigliari amorevoli o dolorosi, passiamo attraverso questo flashback per inoltrarci nelle più profonde memorie archetipiche. E’ un forte impatto emotivo, un’esperienza condivisa, una psicosi collettiva. Terribile, commovente e necessaria.
L’occhio della macchina registra oggettivamente la scena (il film con quelle due donne, l’una e l’altra Sé), l’occhio di Rosset, il suo filtro perfetto, restituisce un’immagine mistica della verità*, un’immagine prismatica del movimento vitale. I passi “still” consapevoli e inconsapevoli di Marina ed Elisa sono uno specchio dimensionale, i codici di un portale vibrante e instabile ottenuto attraverso il bilanciamento di due contrapposti stati di coscienza. Sconosciuto vuoto della percezione umana. Contrappunto morfologico, fervido abbandono.
Ma non si dovrebbe star sempre a spiegare, impunemente sciogliere l’opportunità di imbastire un pensiero personale innocente, un primo sguardo candido, senza sovrastrutture e regole. Non si dovrebbe, in questo lavoro che è carico di livelli concettuali che gli artisti stessi, con i loro testi guida, ci sanno raccontare nel modo più corretto ed efficace, tradirne la fiducia smascherandone gli obiettivi. Non è possibile ed è del tutto arbitrario. So già tutto, m’illudo? So già tutto, credo… non so.
* L’unità mistica di McTaggart dove tale misticismo afferma una maggiore unità dell’universo rispetto a quella riconosciuta dalla scienza e dall’esperienza comune.
di Barbara Fragogna
"C'è un tempo e un luogo giusto perché qualsiasi cosa abbia principio e fine." - Miranda da Picnic ad Hanging Rock di Peter Weir
Tempo. Inquieta dimensione. Giovane, vecchio, prima e dopo, futuro nel presente, presenza del passato. Inizio, fine, continuum. Alterco palpabile d’ingannevole tensione. Circolo, matassa, vortice, ritorno. Uroboro in potenza. Stadio primordiale di rigenerazione effimera. Archeologia del guscio, uovo cosmico.
Nel progetto Still Life di Andrea Rosset in collaborazione con Marina Fornasier il flusso del tempo incarnato nell’età delle protagoniste degli scatti (107 Elisa e 28 Marina) mette in atto il perpetuo movimento che penetra lo spazio curvo permeandone i pori e irrorandolo di materia vitale alchemica e liquida. La pelle è la superficie/paesaggio in cui lo sguardo va e torna, si ritrova, cammina sicuro riconoscendone codici, tappe e meccanismi, la nostra banale vita, la sua decadenza, il suo fiorire. Il contesto è il luogo delle contraddizioni che si completano. Oggetti, figure, textures, sensazioni complementari che predicono un quotidiano ineluttabile. Nell’antitesi si genera una silenziosa fusione, la tensione delle forze coinvolte sbatacchia tra la gola e lo stomaco, sono i sensi ad esserne travolti, prima di tutto, prima di pensare, prima di capire. L’ovvio empirico dell’esperienza diretta si manifesta in ricordi famigliari amorevoli o dolorosi, passiamo attraverso questo flashback per inoltrarci nelle più profonde memorie archetipiche. E’ un forte impatto emotivo, un’esperienza condivisa, una psicosi collettiva. Terribile, commovente e necessaria.
L’occhio della macchina registra oggettivamente la scena (il film con quelle due donne, l’una e l’altra Sé), l’occhio di Rosset, il suo filtro perfetto, restituisce un’immagine mistica della verità*, un’immagine prismatica del movimento vitale. I passi “still” consapevoli e inconsapevoli di Marina ed Elisa sono uno specchio dimensionale, i codici di un portale vibrante e instabile ottenuto attraverso il bilanciamento di due contrapposti stati di coscienza. Sconosciuto vuoto della percezione umana. Contrappunto morfologico, fervido abbandono.
Ma non si dovrebbe star sempre a spiegare, impunemente sciogliere l’opportunità di imbastire un pensiero personale innocente, un primo sguardo candido, senza sovrastrutture e regole. Non si dovrebbe, in questo lavoro che è carico di livelli concettuali che gli artisti stessi, con i loro testi guida, ci sanno raccontare nel modo più corretto ed efficace, tradirne la fiducia smascherandone gli obiettivi. Non è possibile ed è del tutto arbitrario. So già tutto, m’illudo? So già tutto, credo… non so.
* L’unità mistica di McTaggart dove tale misticismo afferma una maggiore unità dell’universo rispetto a quella riconosciuta dalla scienza e dall’esperienza comune.
Testi di Andrea Rosset e Marina Fornasier
Still Life
Still Life è una installazione fotografica, realizzata con le immagini di Elisa, 107 anni, e Marina, sua nipote, 28 anni. Il lavoro ruota intorno ai corpi delle due donne, quello di Marina attivo e cosciente nella sua autorappresentazione, e quello di Elisa passivo e quasi inconsapevole, confrontati secondo una struttura antinomica di contrasti e assonanze, sia a livello tematico che formale. La loro immagine è potente e nitida, l’una nella sua maturità acerba, l’altra in una vecchiezza estenuata, ma attraverso il lavoro di posa “performativa” di Marina si verifica uno slittamento continuo della presenza della nipote nella presenza assenza della nonna, uno scorrimento temporale dilatato e ricorsivo - tra presente passato e futuro - attraverso il corpo, la postura, gli atteggiamenti. È un “album familiare” problematico e inaccettabile, per l’irruzione socialmente scandalosa dell’immagine di una quasi morte, di un fine-vita non filtrato in un ambito, quello delle foto di famiglia, volto invece a esorcizzare lo scorrere inesorabile del tempo e a fare da raccordo tra la dimensione privata e quella pubblica del nucleo familiare attraverso una rappresentazione idealizzata che ne certifichi la continuità, l’appartenenza e l’identità sociale. Qui non si esorcizza. Qui si ha un rito di passaggio circolare, nel quale le due identità e il loro rapporto biologico vengono fusi e condivisi: identità è ciò che rende due cose la stessa cosa oppure ciò che le rende differenti. |
IL PROGETTO
Il progetto Still Life è nato nel 2009 in collaborazione con Marina Fornasier, performer di danza contemporanea, con una semplice serie di ritratti scattati ad Elisa, nonna di Marina, nata nel 1902. Nei mesi successivi abbiamo voluto affiancare Marina ad Elisa per una sessione fotografica più strutturata, Still Life: realizzata in 45 minuti, in silenzio, nel salotto fuori moda di una casa nella campagna veneta. Elisa aveva 107 anni, non apriva più gli occhi e non parlava, trascorreva le giornate sul divano della casa di famiglia, presenza sommessa e difficilmente decifrabile. Nella sessione fotografica, accanto al corpo presente-assente di Elisa, il corpo-agente di sua nipote Marina in una sorta di improvvisazione performativa ne duplicava e amplificava le posture, i gesti, i lievi movimenti; oppure se ne differenziava per contrasto. L’immagine delle due donne era potente e definita, l’una nella sua maturità acerba, l’altra in una vecchiezza estenuata; eppure si verificava una specie di slittamento continuo della presenza di Marina nell’esserci della nonna (del suo esserci qui e ora, e del suo essere stata, una volta, giovane ragazza). Il lavoro si è allora strutturato, semplicemente, quasi necessariamente, su una costruzione antinomica: la pelle diafana di Marina e quella estremamente segnata di sua nonna, il nero di Elisa e il bianco della nipote, gli abiti pesanti della persona anziana e i vestiti leggeri della ragazza, e ancora, inevitabilmente, vita e morte, vecchiaia e giovinezza, moderno e fuori moda. Ma questa alternanza compresente, che una prima lettura colloca necessariamente in una struttura lineare definita da un “prima” e un “dopo”, assume nello “stare” di Marina con Elisa e nella sua restituzione fotografica un andamento che una lettura connotativa riconosce come circolare e ricorsivo. Il “prima” e il “dopo” (passato e presente, vita e morte, capostipite e discendente) allora si invertono continuamente, e assumono la dimensione temporale e spaziale dell’eterno ritorno. Le foto di gruppo familiari solitamente congelano le gerarchie del gruppo stesso, sono immagini idealizzate che posizionano i membri della famiglia all’interno di un contesto strutturato, forniscono l’identità relazionale, li raggruppano attorno a un “centro”; in Still Life la gerarchia è invece destrutturata, e la capostipite (la sua funzione, la sua sacralità) viene “scentrata”. Se l’album di famiglia e le foto incorniciate da esporre in salotto sono una sorta di interfaccia tra l’immagine sociale e quella privata del nucleo familiare, e ne cristallizza le identità, le fotografie di Still Life segnano piuttosto un rito di passaggio nel quale le identità di Marina ed Elisa vengono fuse e condivise, e i loro ruoli vacillano; un passaggio non lineare ma circolare che non stigmatizza tanto un’appartenenza, un “questo è” irripetibile, quanto invece un infinito e ricorrente “questo è stato, è, e sarà”. L’idealizzazione dei corpi richiesta alle foto familiari in virtù della loro funzione affettiva e sociale è inoltre negata in Still Life da uno sguardo fotografico il più possibile oggettivo, diretto e non edulcorato, che non si ritrae di fronte a due corpi “esposti” nella loro irriducibile contingenza. |
Andrea Rosset (Vicenza, 1967).
Diplomato all'Istituto sperimentale tecnico artistico Boscardin di Vicenza nel 1986, ha studiato pittura all'Accademia di Belle Arti di Venezia e Lettere Moderne all'Università di Padova integrando progressivamente la fotografia, il cinema e il video nei propri lavori. Ha lavorato con il Circolo del Cinema Fahrenheit 451° di Montecchio Maggiore (VI) (1994-1999), poi con il centro culturale Passoridotto di Vicenza (1997-1998) e infine con il collettivo Solaris (2000-2007), realizzando installazioni multimediali, cortometraggi sperimentali e curando rassegne di cinema d'essai. È fotografo professionista dal 1995.
Dal 2010 fa parte del collettivo di arte visiva e performativa Jennifer rosa, attivo in Italia e all'estero, al quale partecipa come autore di progetti video, fotografici e performativi.
Come fotografo proveniente dalle arti visive, interessato principalmente a una ricerca sul corpo, il volto umano, l'identità, la rappresentazione della presenza, privilegia uno stile diretto, antinarrativo, non sentimentale e fortemente processuale; il suo lavoro, svolto prevalentemente in studio, si pone così in un confine: tra una modalità operativa lucida, non impulsiva, e l'irriducibilità della memoria, la densità del tempo, la profondità del vissuto. Vive e lavora a Vicenza.
10 artists in the light of Caravaggio, Larnaca (Cipro) (2018); Still Life (Fo.To - Fotografi a Torino), Fusion Art Gallery, Torino (2018); Terrestri, Teatro Astra, Vicenza (2017); Progetto 021UP, Le Laite, Conco (VI) (2017); Intra, Fusion Art Gallery, Torino (2016); Da-A, Incipit, Vicenza (2016); Alter Logos (Jennifer rosa), Fusion Art Gallery, Torino (2015); Here you are (Jennifer rosa), Palazzo Fogazzaro, Schio (VI) (2015); Arturo a Pelle (residenza), Pellestrina (VE) (2015); Here you are (Jennifer rosa), Spazio Bixio, Vicenza (2015); Impersonal solo show, Laconia Gallery, Boston (USA) (2014); Presenze contemporanee (con Penzo+Fiore), Museo del paesaggio di Torre di Mosto (TV) (2014); F4 / un’idea di fotografia (Jennifer rosa) Pieve di Soligo (TV) (2014); Boston-Como, Como (2013); Pulsart restart (Jennifer rosa) Schio (VI) (2013); Buongiorno/Arrivederci (con Jennifer rosa, Greta Bisandola), Emerson Gallery, Berlin (DE) (2012); Still Life, Tacheles, Berlin (DE) (2011); Madri e Figlie (Jennifer rosa), Tacheles, Berlin (DE) (2011); Forze conservative (con Andrea Penzo, Cristina Fiore, Elisa Dal Corso, Fiorenzo Zancan), Abnormals Gallery e Tacheles, Berlin (DE) (2010); Walking Freedom Fort 2010, Forte Marghera, Venezia (2010) Festival Sguardi Sonori 2008, Schio (Vicenza), Bomarzo (Viterbo), Tivoli (Roma) (2008); Dalla parte di Bartleby, Azioni Inclementi, Schio (VI) (2007)
Marina Fornasier (Vicenza, 1981)
Lavora in Cooperativa Sociale Insieme di Vicenza, di cui è attualmente presidente, dove si trasforma il rifiuto in risorsa, cose e persone. Ha collaborato con il collettivo artistico Jennifer rosa in: Madri e Figlie (2011), Everyone (2012), A different you (2014), L'ora (2013), Here You Are (2014), MOB | mobile vulgus_massa (2014), MOB | mobile vulgus_mischia (2015). Dal 2009 collabora con Andrea Rosset in progetti fotografici - Still Life (2009), Restrain (2016), Enduring (2016), Blank (2016), La Cifra (2016) - e in qualsiasi cosa passi per la testa di Andrea, in quanto sua vicina di casa.
Diplomato all'Istituto sperimentale tecnico artistico Boscardin di Vicenza nel 1986, ha studiato pittura all'Accademia di Belle Arti di Venezia e Lettere Moderne all'Università di Padova integrando progressivamente la fotografia, il cinema e il video nei propri lavori. Ha lavorato con il Circolo del Cinema Fahrenheit 451° di Montecchio Maggiore (VI) (1994-1999), poi con il centro culturale Passoridotto di Vicenza (1997-1998) e infine con il collettivo Solaris (2000-2007), realizzando installazioni multimediali, cortometraggi sperimentali e curando rassegne di cinema d'essai. È fotografo professionista dal 1995.
Dal 2010 fa parte del collettivo di arte visiva e performativa Jennifer rosa, attivo in Italia e all'estero, al quale partecipa come autore di progetti video, fotografici e performativi.
Come fotografo proveniente dalle arti visive, interessato principalmente a una ricerca sul corpo, il volto umano, l'identità, la rappresentazione della presenza, privilegia uno stile diretto, antinarrativo, non sentimentale e fortemente processuale; il suo lavoro, svolto prevalentemente in studio, si pone così in un confine: tra una modalità operativa lucida, non impulsiva, e l'irriducibilità della memoria, la densità del tempo, la profondità del vissuto. Vive e lavora a Vicenza.
10 artists in the light of Caravaggio, Larnaca (Cipro) (2018); Still Life (Fo.To - Fotografi a Torino), Fusion Art Gallery, Torino (2018); Terrestri, Teatro Astra, Vicenza (2017); Progetto 021UP, Le Laite, Conco (VI) (2017); Intra, Fusion Art Gallery, Torino (2016); Da-A, Incipit, Vicenza (2016); Alter Logos (Jennifer rosa), Fusion Art Gallery, Torino (2015); Here you are (Jennifer rosa), Palazzo Fogazzaro, Schio (VI) (2015); Arturo a Pelle (residenza), Pellestrina (VE) (2015); Here you are (Jennifer rosa), Spazio Bixio, Vicenza (2015); Impersonal solo show, Laconia Gallery, Boston (USA) (2014); Presenze contemporanee (con Penzo+Fiore), Museo del paesaggio di Torre di Mosto (TV) (2014); F4 / un’idea di fotografia (Jennifer rosa) Pieve di Soligo (TV) (2014); Boston-Como, Como (2013); Pulsart restart (Jennifer rosa) Schio (VI) (2013); Buongiorno/Arrivederci (con Jennifer rosa, Greta Bisandola), Emerson Gallery, Berlin (DE) (2012); Still Life, Tacheles, Berlin (DE) (2011); Madri e Figlie (Jennifer rosa), Tacheles, Berlin (DE) (2011); Forze conservative (con Andrea Penzo, Cristina Fiore, Elisa Dal Corso, Fiorenzo Zancan), Abnormals Gallery e Tacheles, Berlin (DE) (2010); Walking Freedom Fort 2010, Forte Marghera, Venezia (2010) Festival Sguardi Sonori 2008, Schio (Vicenza), Bomarzo (Viterbo), Tivoli (Roma) (2008); Dalla parte di Bartleby, Azioni Inclementi, Schio (VI) (2007)
Marina Fornasier (Vicenza, 1981)
Lavora in Cooperativa Sociale Insieme di Vicenza, di cui è attualmente presidente, dove si trasforma il rifiuto in risorsa, cose e persone. Ha collaborato con il collettivo artistico Jennifer rosa in: Madri e Figlie (2011), Everyone (2012), A different you (2014), L'ora (2013), Here You Are (2014), MOB | mobile vulgus_massa (2014), MOB | mobile vulgus_mischia (2015). Dal 2009 collabora con Andrea Rosset in progetti fotografici - Still Life (2009), Restrain (2016), Enduring (2016), Blank (2016), La Cifra (2016) - e in qualsiasi cosa passi per la testa di Andrea, in quanto sua vicina di casa.
ANDREA ROSSET
SELECTED AVAILABLE WORKS:
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PRESSO LA FUSION ART GALLERY:
Andrea Rosset // INTRA
Inaugurazione sabato 9 aprile ore 19
Inaugurazione sabato 9 aprile ore 19
Andrea Rosset | INTRA
a cura di Barbara Fragogna 9.4 - 7.5.2016 Inaugurazione sabato 9 aprile ore 19 Gio - Sab // 16 - 19.30 e su appuntamento In collaborazione con www.edizioniinaudite.weebly.com e |
Andrea Rosset website
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INTRA
Ciò che non è assolutamente possibile è non scegliere. - Jean-Paul Sartre
INTRA presuppone interno, introspezione, costrizione, rigidità, chiusura ma anche vicinanza, contatto, comprensione, presenza, confronto, amalgama, silenzio. Il processo, nella pratica dell’artista, è specifico: un luogo, due soggetti umani, IL momento. Nello studio/laboratorio/camera obscura lo spazio si de-materializza e si ri-struttura in un luogo peculiare di cui le pareti e i volumi (ma anche i protagonisti coinvolti) si riempiono di buio, diventano buio, medium ideale da scavare con la luce. Luce che è pennello, scalpello, mano-sguardo. Uno sguardo che non vede per catturare, che non ruba, che non aggredisce ma piuttosto cerca, scopre, porta in superficie e trova quello che può essere trovato solo in quel preciso momento (e mai più) costruendo un’immagine mai vista. Si tratta dell’impronta ottenuta nella tensione di un lungo momento, il tempo della durata della posa. In quel momento tutto accade, il sentire buio/oscuro cova, fermenta, esplode, dirada, sedimenta, comprime, distilla luce tenue che, spenta ogni passione, illumina un orizzonte epurato, quasi anodino, il gesto metabolizza l’intento ed è proprio in quel momento che si realizza l’opera, che si concretizza l’afflato. Il lavoro di ricerca di Andrea Rosset si sviluppa per mezzo di un apparato complesso di preparativi/dispositivi tecnici e concettuali necessari alla sospensione e, proprio come a trattenere il fiato e a rilasciarlo, alla creazione di un rapporto uno a due, il fotografo e il s/oggetto fotografato, di un rapporto uno a uno, lo scienziato che pondera, l’anatomofotografo che indaga la natura del confronto, del gesto, che scruta e scopre l’immagine.
Il lavoro di Andrea Rosset non è sintetizzabile. Se è vero che gli strumenti che utilizza sono apparentemente scarni (buio, nero, luce fioca, un volto, un corpo, il gesto, il momento) è altrettanto vero che gli strumenti stessi sono contenitori universali di simboli, concetti, filosofie e conoscenze ancestrali. Ogni elemento è detonatore di immagini, idee, sensazioni, mondi. Ogni assunto si avviluppa nel suo contrario e viceversa. Passione imbrigliata lasciata scalciare, equazione che quadra in una quarta dimensione improbabile, analisi illogica di un discorso “grammaticato”. E’ così che Andrea Rosset ci incanta, confonde e illude, proiettandoci nel suo spazio. Lo spazio di azione tra se stesso e il s/oggetto diventa lo spazio che esiste tra noi e la sua opera (quel se stesso concettuale?). Ora quindi, di ciò che abbiamo davanti agli occhi in questo esatto momento, che è l’altro momento sfalsato, che non ci appartiene ma che è inevitabilmente nostro, cosa decideremo di fare?
BF 2016
Ciò che non è assolutamente possibile è non scegliere. - Jean-Paul Sartre
INTRA presuppone interno, introspezione, costrizione, rigidità, chiusura ma anche vicinanza, contatto, comprensione, presenza, confronto, amalgama, silenzio. Il processo, nella pratica dell’artista, è specifico: un luogo, due soggetti umani, IL momento. Nello studio/laboratorio/camera obscura lo spazio si de-materializza e si ri-struttura in un luogo peculiare di cui le pareti e i volumi (ma anche i protagonisti coinvolti) si riempiono di buio, diventano buio, medium ideale da scavare con la luce. Luce che è pennello, scalpello, mano-sguardo. Uno sguardo che non vede per catturare, che non ruba, che non aggredisce ma piuttosto cerca, scopre, porta in superficie e trova quello che può essere trovato solo in quel preciso momento (e mai più) costruendo un’immagine mai vista. Si tratta dell’impronta ottenuta nella tensione di un lungo momento, il tempo della durata della posa. In quel momento tutto accade, il sentire buio/oscuro cova, fermenta, esplode, dirada, sedimenta, comprime, distilla luce tenue che, spenta ogni passione, illumina un orizzonte epurato, quasi anodino, il gesto metabolizza l’intento ed è proprio in quel momento che si realizza l’opera, che si concretizza l’afflato. Il lavoro di ricerca di Andrea Rosset si sviluppa per mezzo di un apparato complesso di preparativi/dispositivi tecnici e concettuali necessari alla sospensione e, proprio come a trattenere il fiato e a rilasciarlo, alla creazione di un rapporto uno a due, il fotografo e il s/oggetto fotografato, di un rapporto uno a uno, lo scienziato che pondera, l’anatomofotografo che indaga la natura del confronto, del gesto, che scruta e scopre l’immagine.
Il lavoro di Andrea Rosset non è sintetizzabile. Se è vero che gli strumenti che utilizza sono apparentemente scarni (buio, nero, luce fioca, un volto, un corpo, il gesto, il momento) è altrettanto vero che gli strumenti stessi sono contenitori universali di simboli, concetti, filosofie e conoscenze ancestrali. Ogni elemento è detonatore di immagini, idee, sensazioni, mondi. Ogni assunto si avviluppa nel suo contrario e viceversa. Passione imbrigliata lasciata scalciare, equazione che quadra in una quarta dimensione improbabile, analisi illogica di un discorso “grammaticato”. E’ così che Andrea Rosset ci incanta, confonde e illude, proiettandoci nel suo spazio. Lo spazio di azione tra se stesso e il s/oggetto diventa lo spazio che esiste tra noi e la sua opera (quel se stesso concettuale?). Ora quindi, di ciò che abbiamo davanti agli occhi in questo esatto momento, che è l’altro momento sfalsato, che non ci appartiene ma che è inevitabilmente nostro, cosa decideremo di fare?
BF 2016