Lisa Di Donato

ARTIST IN RESIDENCE | May 2019
FUSION AIR / Artist-In-Residence Program presents
LISA DI DONATO (USA)

Lisa Di Donato
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Voice Outside the Field
inaugurazione: Sabato 25 Maggio | ore 19

Voice Outside the Field è composta da una serie di opere a coppie che derivano da fotografie “sbagliate” di piccoli giardini urbani di New York, nelle quali l’eccessiva esposizione o l’insufficiente reazione chimica richiesta hanno prodotto una corrosione materiale e il valore della fotografia come testimonianza visiva di un certo tempo e un certo spazio.
Paradossalmente, l’azione della luce richiesta per produrre le fotografie le rovina allo stesso tempo, e mentre solitamente il nero dovrebbe rappresentare l’assenza di dati/informazioni, il vuoto diventa di colore bianco. Attraverso questi spazi svotuati di raffigurazione ho voluto restiture con mano non una rappresentazione letterale di paesaggi smarriti, ma la memoria di come i miei occhi percepiscono e si muovono attraverso questi spazi dinamici fatti di luce illusoria, ombre, vita e tempo.

Le fotografie originali sono molto piccole, dei positivi 3x4 di Polaroid su cui sono stati fatti interventi di disegno a mano a matita; poi sono state rifotografate e ingrandite, rilavorate a matita e poi rifotografate di nuovo. Ogni fase alterna la creazione di spazi vuoti attraverso il riempimento degli stessi, l’espansione attraverso l’ingrandimento degli elementi contenuti nelle fotografie è intervenuta più visibilmente nell’immagine, aprendo così un varco verso nuovi territori prima inesplorati. Il risultato che si ottiene è la resa in larga scala di un paesaggio e una nuova rappresentazione fotografica, un capovolgimento/rovesciamento del disegno che crea una connesione in cui entrambe le immagini interpretano in modo diverso la stessa scena. Questi nuovi prodotti fotografici lasciano interamente da parte l’originale Polaroid 3x4, fonte da cui sono nati per trasformarsi in nuove immagini in cui si percepiscono maggiormente dei paesaggi fluttuanti.

Il titolo di questa serie di opere, Voice Outside the Field, è una riflessione su una voce astratta, un narratore che è sia parte della scena che esterno ad essa. Il narratore è libero di stabilire la nostra visione del mondo, e senza che il suo mondo abbia una forma precisa, potrebbe sviluppare e rimodellarlo a suo piacere, abitando virtualmente un numero illimitato di posti immaginari. Questa libertà di visione e di “voce” comprende tutte le associazioni, connessioni e opposizioni valide allo stesso tempo, dando vita ad un mondo in un luogo in cui l’universo fisico è consapevole e autonomo, ma anche dipendente dai nostri rapporti mentali, emozionali e fisici con esso.

La poesia e la scrittura di William Blake sono diventate un punto di riferimento e di riflessione durante il lungo percorso di frequentazione dei giardini e della loro documentazione fotografica, anni di esistenza e di osservazione, tradotti in immagini utopistiche, romantiche, caotiche. La poesia di Blake enfatizza l’importanza della forza e del dono della visione immaginaria, il mondo naturale, le contraddizioni e i legami come fossero intrinsecamente parte di una più ampia visione della nostra esistenza.

Lisa Di Donato vive e lavora a New York.

Lavorando principalmente con e attraverso la fotografia come mezzo, strumento e linguaggio, l’artista cerca di utilizzare una vasta gamma di mezzi espressivi e processi creativi durante le sue ricerche di rappresentazione e di astrazione relative all’architettura, al paesaggio e alla nostra percezione dello spazio. Il suo svariato repertorio di opere ruota attorno a soggetti concreti e modi di produzione; questi si intergrano ad una sua nuova prospettiva e metodologia che prende ispirazione da progetti già esistenti e ne costruisce di nuovi con l’obiettivo di raggiungere una visione più ampia e generalizzata che al contempo mantenga un suo proprio modo di espressione autonomo.

In tempi più recenti, Lisa ha sperimentato alcune tecniche fotografiche ormai obsolete e quasi vintage, fra le quali la stampa diazo (un procedimento fotografico tramite il quale si riproducono progetti ideali, per lo più di tipo architettonico), la cianotipia (tecnica fotografica che sfrutta le potenzialità di alcuni sali di ferro che reagiscono quando esposti alla luce. Frapponendo un negativo tra la luce ultravioletta e un foglio di carta su cui è stata applicata la soluzione di sali, si produce un'immagine fotografica), il ferrotipo (tecnica con cui la lastra fotografica viene bagnata nel collodio) e altri diversi tipi di pellicole instantanee ormai non più in uso; il tentativo è quello di esplorare la natura fisica dell’immagine e l’immagine come materiale. Molte fotografie ottenute utilizzando queste tecniche hanno subito interventi o trasformazioni, sia manuali sia digitali o entrambi, così da poter diventare qualcosa di completamente diverso dall’originale.

Lisa ha conseguito la laurea in Belle Arti alla Rhodes Island School of Design. Le sue opere sono state esposte negli Stati Uniti e in Europa e inoltre ha curato personalmente numerose mostre. Nel 2019 ha ricevuto un riconoscimento del Premio di Fotografia Julia Margaret Cameron Woman per la categoria Abstraction e le sue opere sono esposte alla relativa mostra del Premio a Barcellona.

Voice Outside the Field is a series of binary artworks developed from “failed” images of New York City’s small urban gardens, where overexposure or insufficient chemistry resulted in material corrosion and the value of the photograph as a visual record of a time and place. Paradoxically, the agency of light required to produce photos also destroys them, and whereas ordinarily black would represent a lack of information, the voids become white. Through these emptied pictorial spaces I render by hand not a literal representation of the lost landscapes, but the memory of how my eye experienced and moved through those dynamic spaces of hallucinatory light, shadow, life, and time.

The original photographs are small, direct positive 3x4” Polaroid images that are hand-drawn over in pencil, then rephotographed and enlarged, reworked in pencil and rephotographed again. Each step alternates the creation of empty spaces with the filling of them, the expansion through enlargement is stepping closer to and into the image, producing a passage to new territories previously hidden. The result is a large scale rendering of a landscape and a new photographic representation, an inversion of the drawing that creates a correlation where both documents differently interpret the same scene. These artworks leave entirely behind the original 3x4” image source they were born from to produce new highly perceptual images of fluctuating landscapes.

The title of the series, Voice Outside the Field, is a reflection on an abstracted voice, a narrator that is both a part of a scene and outside it. It is at liberty to shape our understanding of the world, and without a specific form of its own, it may develop and reshape itself at will, inhabiting a virtually unlimited number of imaginative states. This freedom of vision and voice embraces all associations, connections, and contraries as equally valid, animating the world into a place where the material world is conscious itself and autonomous, but also dependent on our mental, emotional and physical relationship to it.

The poetry and writing of William Blake became touchstones and meditations on the long journey through frequenting the gardens and their photographic documentation, the years of being and seeing, translated into chimeric, romantic, and chaotic images. Blake’s poetry emphasizes the importance of the power and gifts of imaginative vision, the natural world, contradictions and their connections as being inherent to a greater understanding of our existence.

Lisa Di Donato lives and works in New York.

Working primarily with and through photography as a medium, tool, and language, she further incorporates a range of media and processes in her representational and abstract explorations of architecture, landscape, and our perceptions of space. Her diverse range of work moves cyclically through subject matter and mode of production, each approach integrates a new perspective and methodology that draws from and builds on other projects to create a cohesive and broad vision while individually maintaining their autonomy of expression.

Most recently, she has worked with obsolete and antiquarian processes of image making, including diazo printing (blueprint reprographics), cyanotypes, tintypes (wet plate collodion), and various types of expired instant films, exploring the material nature of image and image as material. Many of the resulting works have undergone interventions or translations into another form, manually, digitally or both, to become something wholly different from their origin.

She received her BFA from the Rhode Island School of Design. Her artwork has been shown in the US and Europe, and she also has independently curated numerous exhibitions. She received recognition in the 2019 Julia Margaret Cameron Women in Photography Award in the category of Abstraction and is currently in the accompanying exhibition in Barcelona, Spain.

Begun during the creation of Sites, Ontic Glow mines the same geographic locations of the Sites, but from the perspective Google Earth’s 3D ground view. Google’s algorithm ‘sees’ in the same sense like us, generating images, spinning its own models of reality based on a highly subjective understanding of the physical world comprised of reflected light and shadows as well as pre-existing data it received. Based on these models, the algorithm, with its human-made gift of learning and imagination continually revisualizes the world, each new understanding instantaneously translated into graphic images published directly to the internet.
Using Google Earth’s 3D ground view, I ‘wander’ as a digital tourist across landscapes ordinarily inaccessible by the public, taking snapshots in the form of screen captures on my computer. The screen captures were then rendered from color into black and white through Photoshop, printed, and rephotographed as tintypes where the irregularities inherent in physical chemistry and the handmade photograph interact with the accidents found in the digital digestion and projection of space.
Reproduced in the tangible materiality of tintypes, the images raise and blur the distinction between the indexical photographic reproduction of reality and its generation of images, they are models of a model of reality, direct-positive documents of an intangible world that was never really there, and imbued with a naive nostalgia for the future that really, no one has anymore. Despite the fragmentary, dystopian appearance of the landscapes, there is paradoxically something utopian in the failures and glitches, the cracks produced within technology’s perceived, omnivorous, totalizing eye that oversees our day-to-day life are optimistic openings to imagine and visualize spaces that still somehow beyond this ‘other’ realm where images of the world may precede or altogether replace direct experience.

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