Giosetta Fioroni e Goffredo Parise
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14.5 - 5.6.2015
SALONE INTERNAZIONALE DEL LIBRO DI TORINO | SALONE OFF nell'ambito della mostra IL SALOTTINO IRRILEVANTE a cura di EDIZIONI INAUDITE presenta: GIOSETTA FIORONI | GRATA DI LINGUAGGI a cura di Cristina Fiore e Andrea Penzo ...oltre alle pubblicazioni finora realizzate, anche le opere degli artisti (tra cui Rebecca Agnes, Renzo Marasca, Petrov Ahner e Fragogna) e avrà un’anticipazione dei progetti editoriali in imminente uscita di Stefania Migliorati, Martin Reiter e Davies Zambotti. |
A Collective Solo Show
30.1 - 30.3.2015
No metamorphosis without autophagy” –Henri Michaux “Most people states with no doubt or hesitation that Fragogna is a “visual” artist, a painter linked to the figure and the shape, an introspective artist, organic and organized, visceral and material, one of those artists that take you to the neck and force... |
Fusion Art Gallery 2003-2011
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OVER THE WALL
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Anteprima Aquae Mundi - dal 19 dicembre 2013 al 24 gennaio 2014
a cura di Roberto Mastroianni
con Alessandra Elettra Badoino, Enzo Bersezio, Tegi Canfari, Marco Circhirillo, Miriam Colognesi, Gerry Di Fonzo, Matilde Domestico, Mauro Faletti, Candida Ferrari, Tea Giobbio, Fukushi Ito, Chen Li, Chiara Morando, Irene Pittatore, Pietro Reviglio, Luca Saini, Monica Seksich, Max Zarri
a cura di Roberto Mastroianni
con Alessandra Elettra Badoino, Enzo Bersezio, Tegi Canfari, Marco Circhirillo, Miriam Colognesi, Gerry Di Fonzo, Matilde Domestico, Mauro Faletti, Candida Ferrari, Tea Giobbio, Fukushi Ito, Chen Li, Chiara Morando, Irene Pittatore, Pietro Reviglio, Luca Saini, Monica Seksich, Max Zarri
Gli artisti selezionati dai curatori saranno chiamati a lavorare su un tema comune, l'acqua appunto, esprimendosi attraverso linguaggi, tecniche artistiche e prospettive culturali differenti, offrendo in questo modo interpretazioni del tutto originali di un elemento naturale apparentemente comune.
La mostra intende presentare lavori inediti di artisti contemporanei, la cui poetica sia caratterizzata da una ricerca su temi sociali, politici, culturali, filosofici e religiosi inerenti al rapporto naturacultura,sostenibilità e sviluppo e che abbiano al proprio centro il tema delle “acque del mondo”.
“L’acqua” in questa prospettiva diventa l’elemento concettuale attorno cui articolare un’operazione artistica, finalizzata alla riflessione sul valore che la storia culturale e sociale dell’umanità ha dato a questo elemento, considerato di volta in volta come elemento primigenio, biologico-naturale, religioso, politico. In questa prospettiva, gli artisti sono chiamati a esprimersi sul valore narrativo, bio-geografico, simbolico e politico dell’acqua in un momento di forte crisi ambientale, che vede il tema della transizione ecologica imporsi nel dibattito pubblico e che pone il problema della relazione tra le forme di sfruttamento dell’acqua, la sua esauribilità e il futuro di ecosistemi ed organizzazioni antropiche nel prossimo secolo.Curatori artistici:
Roberto Mastroianni
Filosofo, curatore e critico d’arte, ricercatore indipendente di semiotica, estetica filosofica e filosofia del linguaggio presso il C.I.R.Ce (Centro Interdipartimentale Ricerche sulla Comunicazione) del Dipartimento di Filosofia dell’Università degli Studi di Torino. Laureato in Filosofia Teoretica alla Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Torino, sotto la supervisione di Gianni Vattimo e Roberto Salizzoni, è dottore di Ricerca in Scienze e Progetto della Comunicazione, sotto la supervisione di Ugo Volli. Si occupa di Filosofia del Linguaggio, Estetica filosofica, Teoria generale della Politica, Antropologia, Semiotica, Comunicazione, Arte e Critica filosofica. Ha curato libri di teoria della politica, scritto di filosofia e arte contemporanea e curato diverse esposizioni in spazi privati e museali come Palazzo Ducale di Genova, il CAMEC (Centro di Arte Moderna e Contemporanea) di La Spezia, Castel dell'Ovo di Napoli e l'Arts Santa Monica di Barcellona. Ha tenuto seminari. lezioni e conferenze in Università italiane e straniere.
Walter Vallini
Nato a Roma, architetto, art-designer, organizzatore e curatore di eventi legati al design e all'arte contemporanea. Si e' laureato in Architettura presso la Facolta' di Architettura dell'Università di Firenze, dove ha svolto attività' didattica in qualità' di Cultore della Materia presso il Dipartimento di Progettazione Architettonica. Numerosi i suoi lavori di progettazione e allestimenti per importanti Mostre ed Exhibition in Italia e all’estero Tra le principali mostre curate :
“ Living in Lift” ,” Territorio-Uomo-Territorio”, ”Interni Italiani” che e’ stata presentata in prestigiosi spazi pubblici di citta’ quali Lisbona, Berlino,Praga, Copenhagen .
Sistema Cultura Nord Ovest:
Associazione culturale nata nel 2013 dall'esperienza di organizzazione artistica e culturale sviluppata dai fondatori nel corso degli anni. Ha sede in Torino e opera sul territorio del nord ovest d'Italia per realizzare, sostenere e supportare attività in ambito artistico e culturale in generale. Realizza mostre, eventi culturali, forma personale in grado di operare nei vari settori e funzioni dell'attività culturale, fornisce contenuti, realizza programmi di fundraising e crowdfunding per sostenere progetti propri e di terzi.
La mostra intende presentare lavori inediti di artisti contemporanei, la cui poetica sia caratterizzata da una ricerca su temi sociali, politici, culturali, filosofici e religiosi inerenti al rapporto naturacultura,sostenibilità e sviluppo e che abbiano al proprio centro il tema delle “acque del mondo”.
“L’acqua” in questa prospettiva diventa l’elemento concettuale attorno cui articolare un’operazione artistica, finalizzata alla riflessione sul valore che la storia culturale e sociale dell’umanità ha dato a questo elemento, considerato di volta in volta come elemento primigenio, biologico-naturale, religioso, politico. In questa prospettiva, gli artisti sono chiamati a esprimersi sul valore narrativo, bio-geografico, simbolico e politico dell’acqua in un momento di forte crisi ambientale, che vede il tema della transizione ecologica imporsi nel dibattito pubblico e che pone il problema della relazione tra le forme di sfruttamento dell’acqua, la sua esauribilità e il futuro di ecosistemi ed organizzazioni antropiche nel prossimo secolo.Curatori artistici:
Roberto Mastroianni
Filosofo, curatore e critico d’arte, ricercatore indipendente di semiotica, estetica filosofica e filosofia del linguaggio presso il C.I.R.Ce (Centro Interdipartimentale Ricerche sulla Comunicazione) del Dipartimento di Filosofia dell’Università degli Studi di Torino. Laureato in Filosofia Teoretica alla Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Torino, sotto la supervisione di Gianni Vattimo e Roberto Salizzoni, è dottore di Ricerca in Scienze e Progetto della Comunicazione, sotto la supervisione di Ugo Volli. Si occupa di Filosofia del Linguaggio, Estetica filosofica, Teoria generale della Politica, Antropologia, Semiotica, Comunicazione, Arte e Critica filosofica. Ha curato libri di teoria della politica, scritto di filosofia e arte contemporanea e curato diverse esposizioni in spazi privati e museali come Palazzo Ducale di Genova, il CAMEC (Centro di Arte Moderna e Contemporanea) di La Spezia, Castel dell'Ovo di Napoli e l'Arts Santa Monica di Barcellona. Ha tenuto seminari. lezioni e conferenze in Università italiane e straniere.
Walter Vallini
Nato a Roma, architetto, art-designer, organizzatore e curatore di eventi legati al design e all'arte contemporanea. Si e' laureato in Architettura presso la Facolta' di Architettura dell'Università di Firenze, dove ha svolto attività' didattica in qualità' di Cultore della Materia presso il Dipartimento di Progettazione Architettonica. Numerosi i suoi lavori di progettazione e allestimenti per importanti Mostre ed Exhibition in Italia e all’estero Tra le principali mostre curate :
“ Living in Lift” ,” Territorio-Uomo-Territorio”, ”Interni Italiani” che e’ stata presentata in prestigiosi spazi pubblici di citta’ quali Lisbona, Berlino,Praga, Copenhagen .
Sistema Cultura Nord Ovest:
Associazione culturale nata nel 2013 dall'esperienza di organizzazione artistica e culturale sviluppata dai fondatori nel corso degli anni. Ha sede in Torino e opera sul territorio del nord ovest d'Italia per realizzare, sostenere e supportare attività in ambito artistico e culturale in generale. Realizza mostre, eventi culturali, forma personale in grado di operare nei vari settori e funzioni dell'attività culturale, fornisce contenuti, realizza programmi di fundraising e crowdfunding per sostenere progetti propri e di terzi.
Il Corpo Solitario. Autoscatti nella fotografia contemporanea. a cura di Giorgio Bonomi- dall'8 novembre al 13 dicembre 2013
con Natascia Becchetti, Stefania Beretta, Fulvio Bisca, Isabella Bona, GLENDA BORIANI, Maria Bruni, Marina Buratti, Silvia Celeste Calcagno, Cristian Ciamporcero, Marco Circhirillo, Miriam Colognesi, Francesca Della Toffola, Luigi Erba, Franco Fontana, Cristina Gugnani, Alessio Larocchi, Chen Li, Eleonora Manca, Libera Mazzoleni, Maria Mulas, Virginia Panichi, Elisa Pavan, Irene Pittatore, Andreina Polo, Silvia Reichenbach, Giorgia Rizzo, Giada Rochira, Marco Saroldi, Alessandra Tescione, Mona Lisa Tina
con Natascia Becchetti, Stefania Beretta, Fulvio Bisca, Isabella Bona, GLENDA BORIANI, Maria Bruni, Marina Buratti, Silvia Celeste Calcagno, Cristian Ciamporcero, Marco Circhirillo, Miriam Colognesi, Francesca Della Toffola, Luigi Erba, Franco Fontana, Cristina Gugnani, Alessio Larocchi, Chen Li, Eleonora Manca, Libera Mazzoleni, Maria Mulas, Virginia Panichi, Elisa Pavan, Irene Pittatore, Andreina Polo, Silvia Reichenbach, Giorgia Rizzo, Giada Rochira, Marco Saroldi, Alessandra Tescione, Mona Lisa Tina
“Il corpo solitario. Autoscatti nella fotografia contemporanea”
Sezione I Il corpo come identità
L’autorappresentazione e la ricerca della propria identità sottendono dei problemi ai quali la filosofia, fin dalle origini, ha cercato di dare risposta. Schematizzando, possiamo ridurre i problemi a tre: che cosa è il corpo, che cosa è l’identità, che cosa è l’io. Gli artisti qui presenti cercano di “fissare” il proprio corpo e il proprio io, per conoscere se stessi, anche per un solo attimo, limitando l’estrema trasformazione che la vita opera sull’uomo e sulle cose, oppure evidenziandone l’ineluttabilità. Artisti: Natascia Becchetti - Chen Li - Maria Mulas - Silvia Reichenbach
Sezione II Il travestimento del corpo
Con il travestimento gli artisti sembrano quasi fuggire dalla propria identità e dal proprio corpo reale, per identificarsi in altro da sé; il che, se vogliamo, è però un altro modo per ritrovare se stessi, non certo nell’unità bensì proprio nella diversità. Abbiamo così un sottile gioco tra verità e finzione ove ogni certezza definita e definitoria scompare: la “messa in scena”, il “set”, il “travestimento” permettono la trasformazione del sé in una serie infinita di altri da sé, proprio per ricercare un’identità altra, vuoi per trovare il vero se stesso, vuoi per un gioco di ironia o di narrazione.
Artisti: Cristian Ciamporcero - Marco Circhirillo - Virginia Panichi - Giorgia Rizzo - Marco Saroldi
Sezione III Le narrazioni del corpo
Può apparire tautologico parlare di “narrazione” a proposito di arte, infatti ogni opera d’arte contiene un discorso, un racconto, e questo avviene ancora più marcatamente quando il soggetto/oggetto dell’opera è il corpo, il proprio corpo. Tuttavia qui presentiamo artisti che, con l’autorappresentazione ed il travestimento per la ricerca della propria identità, segnano una volontà narrativa più esplicita, componendo un racconto, una storia, sia con immagini singole che con una serie più o meno numerosa delle stesse. Ottengono così una serie infinita di “sé” e di “altri da sé”, spesso identificati con stereotipi e come tali derisi e criticati o assunti come momento necessario delle proprie pulsioni per godersele o liberarsene.
Artisti: Stefania Beretta
Sezione IV Il corpo messo a nudo, anche
Certamente il nudo non è una novità per l’arte, anzi esso è uno dei suoi luoghi privilegiati, fin dall’antichità. Più recentemente, dopo la body art, che proponeva positivamente ed in modo eticamente fondata la tematica del corpo, e le performance “scandalose” e tecnologiche che hanno proposto alterazioni, trasformazioni, mutazioni, ibridazioni del corpo dell’artista, annullando ogni qualsivoglia possibilità poetica ed estetica, alcuni artisti, soprattutto giovani, privi delle urgenze della body art e non eccitati dagli effetti delle tecnologie, sono ripartiti dal loro corpo e da questo “messo a nudo”, anche. Questi artisti dimostrano la volontà del “superamento” del limite – inteso non in senso scandalistico ma in quello hegeliano di “togliere e conservare” – dato dall’oggettualità dei prodotti artistici, per un verso, e da tutto ciò che può impedire, da un altro, l’estrema e definitiva messa in scena di sé che non può avvenire che con l’offrirsi nella propria nudità, al di qua della quale non si può andare. E in questa posizione estrema è compresa anche la volontà della massima autoresponsabilità, perché si evitano possibili alibi forniti dall’alterità e dalle cose del mondo: quindi si tratta di una posizione di assoluta verità e libertà, di inveramento di quella tensione che ha coinvolto molti artisti nella ricerca della equivalenza tra arte e vita.
Quell’“anche”, nel titolo della Sezione, oltre ad un dovuto omaggio a Duchamp – antesignano nel mostrare il proprio corpo nudo – sta a significare tutte le possibilità che il corpo nudo può offrire, al di là della pura e semplice nudità.
Artisti: Miriam Colognesi - Franco Fontana - Andreina Polo - Giada Rochira -Mona Lisa Tina
Sezione V Il corpo assente
Alcuni artisti, pur lavorando con e su il loro corpo, in qualche modo lo celano – o completamente, presentando “indizi” di sé, o parzialmente, riprendendosi solo in alcune parti del corpo –, sia per ragioni intrinseche alle loro poetiche sia per opporsi all’uso eccessivo che del nudo fa la società contemporanea. Lavorano, quindi, sulla frantumazione, sulla precarietà del corpo come unità definita, ed anche sulla sua assenza/presenza per affermare l’impossibilità del corpo come totalità o per ritrovarsi nella propria ombra o in parti anche minime del proprio corpo, o addirittura nella semplice immagine di sé, offrendo così una tautologica “immagine di un’immagine”.
Artisti: Maria Bruni - Marina Buratti - Francesca Della Toffola - Cristina Gugnali - Eleonora Manca - Elisa Pavan
Sezione VI Il corpo come denuncia e come scandalo
Il corpo è un soggetto dell’arte e questa, tra i suoi molteplici contenuti, ha contemplato, almeno dal realismo ottocentesco, la “denuncia”. La denuncia può essere politica, sociale, esistenziale e spesso è proprio attraverso lo “scandalo”che questa avviene.
L’etimologia della parola “scandalo” ci porta al concetto di “mettere in movimento”, infatti l’immagine scandalosa mette in movimento le coscienze, le certezze, i principi ritenuti immutabili ed è, quindi, produttrice di riflessione, di mutamento, di trasformazione, di sé e degli altri.
Certamente non è facile con l’autorappresentazione esprimere contenuti di denuncia sociale o politica, questi si ottengono più facilmente con il “travestimento” o con la “narrazione”; tuttavia, l’artista che vuole esprimere una denuncia di tipo esistenziale spesso, attraverso mediazioni, raggiunge il sociale e il politico, inverando un vecchio slogan “il personale è politico”. Così con il proprio corpo questi artisti “denunciano e/o scandalizzano”, certo in maniera soggettiva ma non, se così si può dire, “soggettivistica”, poiché offrono il loro discorso a soggettività più ampie, convinti della possibile universalizzazione del loro messaggio, che del resto è una delle finalità dell’arte.
Artisti: Isabella Bona - Libera Mazzoleni - Irene Pittatore
Sezione VII Il corpo come sperimentazione
Qui sono presenti artisti che, nel riprendere se stessi, ottengono un prodotto estetico che definiamo di “sperimentazione”, non solo e non tanto per le tecnologie usate quanto per l’immagine finale che risulta insolita, nuova, appunto “sperimentale”. Per questo, pur se tutti propongono una tematica rapportabile a quelle delle altre sezioni, abbiamo trovato di maggior interesse sottolineare proprio la loro capacità innovativa formale al di là dei contenuti.
Artisti: Fulvio Bisca - Glenda Boriani - Silvia Celeste Calcagno - Luigi Erba- Alessio Larocchi - Alessandra Tescione
Sezione I Il corpo come identità
L’autorappresentazione e la ricerca della propria identità sottendono dei problemi ai quali la filosofia, fin dalle origini, ha cercato di dare risposta. Schematizzando, possiamo ridurre i problemi a tre: che cosa è il corpo, che cosa è l’identità, che cosa è l’io. Gli artisti qui presenti cercano di “fissare” il proprio corpo e il proprio io, per conoscere se stessi, anche per un solo attimo, limitando l’estrema trasformazione che la vita opera sull’uomo e sulle cose, oppure evidenziandone l’ineluttabilità. Artisti: Natascia Becchetti - Chen Li - Maria Mulas - Silvia Reichenbach
Sezione II Il travestimento del corpo
Con il travestimento gli artisti sembrano quasi fuggire dalla propria identità e dal proprio corpo reale, per identificarsi in altro da sé; il che, se vogliamo, è però un altro modo per ritrovare se stessi, non certo nell’unità bensì proprio nella diversità. Abbiamo così un sottile gioco tra verità e finzione ove ogni certezza definita e definitoria scompare: la “messa in scena”, il “set”, il “travestimento” permettono la trasformazione del sé in una serie infinita di altri da sé, proprio per ricercare un’identità altra, vuoi per trovare il vero se stesso, vuoi per un gioco di ironia o di narrazione.
Artisti: Cristian Ciamporcero - Marco Circhirillo - Virginia Panichi - Giorgia Rizzo - Marco Saroldi
Sezione III Le narrazioni del corpo
Può apparire tautologico parlare di “narrazione” a proposito di arte, infatti ogni opera d’arte contiene un discorso, un racconto, e questo avviene ancora più marcatamente quando il soggetto/oggetto dell’opera è il corpo, il proprio corpo. Tuttavia qui presentiamo artisti che, con l’autorappresentazione ed il travestimento per la ricerca della propria identità, segnano una volontà narrativa più esplicita, componendo un racconto, una storia, sia con immagini singole che con una serie più o meno numerosa delle stesse. Ottengono così una serie infinita di “sé” e di “altri da sé”, spesso identificati con stereotipi e come tali derisi e criticati o assunti come momento necessario delle proprie pulsioni per godersele o liberarsene.
Artisti: Stefania Beretta
Sezione IV Il corpo messo a nudo, anche
Certamente il nudo non è una novità per l’arte, anzi esso è uno dei suoi luoghi privilegiati, fin dall’antichità. Più recentemente, dopo la body art, che proponeva positivamente ed in modo eticamente fondata la tematica del corpo, e le performance “scandalose” e tecnologiche che hanno proposto alterazioni, trasformazioni, mutazioni, ibridazioni del corpo dell’artista, annullando ogni qualsivoglia possibilità poetica ed estetica, alcuni artisti, soprattutto giovani, privi delle urgenze della body art e non eccitati dagli effetti delle tecnologie, sono ripartiti dal loro corpo e da questo “messo a nudo”, anche. Questi artisti dimostrano la volontà del “superamento” del limite – inteso non in senso scandalistico ma in quello hegeliano di “togliere e conservare” – dato dall’oggettualità dei prodotti artistici, per un verso, e da tutto ciò che può impedire, da un altro, l’estrema e definitiva messa in scena di sé che non può avvenire che con l’offrirsi nella propria nudità, al di qua della quale non si può andare. E in questa posizione estrema è compresa anche la volontà della massima autoresponsabilità, perché si evitano possibili alibi forniti dall’alterità e dalle cose del mondo: quindi si tratta di una posizione di assoluta verità e libertà, di inveramento di quella tensione che ha coinvolto molti artisti nella ricerca della equivalenza tra arte e vita.
Quell’“anche”, nel titolo della Sezione, oltre ad un dovuto omaggio a Duchamp – antesignano nel mostrare il proprio corpo nudo – sta a significare tutte le possibilità che il corpo nudo può offrire, al di là della pura e semplice nudità.
Artisti: Miriam Colognesi - Franco Fontana - Andreina Polo - Giada Rochira -Mona Lisa Tina
Sezione V Il corpo assente
Alcuni artisti, pur lavorando con e su il loro corpo, in qualche modo lo celano – o completamente, presentando “indizi” di sé, o parzialmente, riprendendosi solo in alcune parti del corpo –, sia per ragioni intrinseche alle loro poetiche sia per opporsi all’uso eccessivo che del nudo fa la società contemporanea. Lavorano, quindi, sulla frantumazione, sulla precarietà del corpo come unità definita, ed anche sulla sua assenza/presenza per affermare l’impossibilità del corpo come totalità o per ritrovarsi nella propria ombra o in parti anche minime del proprio corpo, o addirittura nella semplice immagine di sé, offrendo così una tautologica “immagine di un’immagine”.
Artisti: Maria Bruni - Marina Buratti - Francesca Della Toffola - Cristina Gugnali - Eleonora Manca - Elisa Pavan
Sezione VI Il corpo come denuncia e come scandalo
Il corpo è un soggetto dell’arte e questa, tra i suoi molteplici contenuti, ha contemplato, almeno dal realismo ottocentesco, la “denuncia”. La denuncia può essere politica, sociale, esistenziale e spesso è proprio attraverso lo “scandalo”che questa avviene.
L’etimologia della parola “scandalo” ci porta al concetto di “mettere in movimento”, infatti l’immagine scandalosa mette in movimento le coscienze, le certezze, i principi ritenuti immutabili ed è, quindi, produttrice di riflessione, di mutamento, di trasformazione, di sé e degli altri.
Certamente non è facile con l’autorappresentazione esprimere contenuti di denuncia sociale o politica, questi si ottengono più facilmente con il “travestimento” o con la “narrazione”; tuttavia, l’artista che vuole esprimere una denuncia di tipo esistenziale spesso, attraverso mediazioni, raggiunge il sociale e il politico, inverando un vecchio slogan “il personale è politico”. Così con il proprio corpo questi artisti “denunciano e/o scandalizzano”, certo in maniera soggettiva ma non, se così si può dire, “soggettivistica”, poiché offrono il loro discorso a soggettività più ampie, convinti della possibile universalizzazione del loro messaggio, che del resto è una delle finalità dell’arte.
Artisti: Isabella Bona - Libera Mazzoleni - Irene Pittatore
Sezione VII Il corpo come sperimentazione
Qui sono presenti artisti che, nel riprendere se stessi, ottengono un prodotto estetico che definiamo di “sperimentazione”, non solo e non tanto per le tecnologie usate quanto per l’immagine finale che risulta insolita, nuova, appunto “sperimentale”. Per questo, pur se tutti propongono una tematica rapportabile a quelle delle altre sezioni, abbiamo trovato di maggior interesse sottolineare proprio la loro capacità innovativa formale al di là dei contenuti.
Artisti: Fulvio Bisca - Glenda Boriani - Silvia Celeste Calcagno - Luigi Erba- Alessio Larocchi - Alessandra Tescione
Alessandra Elettra Badoino / Chiara Morando - Biografia di un Sogno - dal 3 ottobre al 2 novembre 2013
a cura di Roberto Mastroianni e Walter Vallini
Nella mostra saranno presentate opere inedite nate dalla riflessione sul legame tra dimensione reale e onirico.
Prato,ferro,pietra sono le materie prescelte per parlare di un sogno mai abitato, ma sempre spiato dal di fuori.
Questo sguardo restituisce un'idea di sogno diversa da quella a cui si e' soliti pensare;
non un sogno leggero, etereo, fragile e bidimensionale , ma "un sogno che vuole un proprio peso specifico,un sogno che vuole essere"
In questo sogno nudo non emerge la memoria di un movimento onirico, neppure la sua interpretazione, bensi' tutta la pesantezza di uno stare reale.
L'uomo,il corpo, la testa sono costantemente assenti, ma in questa assente c'e' un richiamo silenzioso ad abitare le forme del sogno.
a cura di Roberto Mastroianni e Walter Vallini
Nella mostra saranno presentate opere inedite nate dalla riflessione sul legame tra dimensione reale e onirico.
Prato,ferro,pietra sono le materie prescelte per parlare di un sogno mai abitato, ma sempre spiato dal di fuori.
Questo sguardo restituisce un'idea di sogno diversa da quella a cui si e' soliti pensare;
non un sogno leggero, etereo, fragile e bidimensionale , ma "un sogno che vuole un proprio peso specifico,un sogno che vuole essere"
In questo sogno nudo non emerge la memoria di un movimento onirico, neppure la sua interpretazione, bensi' tutta la pesantezza di uno stare reale.
L'uomo,il corpo, la testa sono costantemente assenti, ma in questa assente c'e' un richiamo silenzioso ad abitare le forme del sogno.
Jacques de Melò - Going Places | Mauro Faletti - Gipsy Positive Style dal 25.5 al 14.6.2013
a cura di Roberto Mastroianni e Angela Sofo
“GOING PLACES” - Jacques De Mélo
Il 23 maggio negli spazi della Fusion Art Gallery, il fotografo francese Jacques De Mélo che attualmente vive e lavora a New York, esporrà una personale dal titolo: “GOING PLACES”.
Il progetto nasce dalla volontà dell’artista di offrire una visione globale sull’immigrazione ritraendo gli immigrati che vivono ai margini della società. De Mélo ambisce a sensibilizzare l’opinione pubblica su temi sociali importanti come il razzismo, l’inedia, l’odio e il separatismo che ancora imperversano nel mondo e, a catturare attraverso l’obiettivo, gli sguardi delle persone, rendendoli visibili agli occhi di tutti e incoraggiando una maggiore consapevolezza del concetto di “multiculturalità”.
Gli scatti che saranno esposti fanno parte di una selezione di 100 ritratti di immigrati: italiani, portoghesi, algerini, marocchini, polacchi, turchi, curdi, africani, asiatici; popolazioni provenienti da ogni parte del mondo ora stabilite in aree urbanizzate e in regioni industriali della Francia. I ritratti di De Mélo simboleggiano una sorta di “mosaico etnico”, uno studio comparativo sulla diversità culturale e un viaggio nella narrazione storica e personale raccontata dai volti e dagli sguardi che gli immigrati ci offrono. Le immagini sono state scattate all’interno di uno speciale tendone montato appositamente per escludere la presenza del paesaggio e rivolgere l’attenzione soltanto alle persone fotografate.
Con la sua serie fotografica De Mèlo non vuole concentrarsi su questioni politiche, etniche o religiose ma rivolgersi unicamente agli individui e alla loro storia per dare risalto alle tracce di umanità che si rivelano attraverso le loro espressioni e per evidenziarne le speranze, le aspirazioni per il futuro, le ansie, le frustrazioni, l’ostracismo al quale sono dovuti soccombere, il loro amore e con esso i loro ricordi, sia nel bene che nel male, della vita trascorsa. De Mélo prova a scandagliare l’anima delle persone poste di fronte a lui, ricercandone l’aspetto più privato e intimo.
“Gipsy Positive Style”- Mauro Faletti
Il 23 maggio negli spazi della Fusion Art Gallery, il fotografo torinese Mauro Faletti, esporrà una personale dal titolo: “Gipsy Positive Style”.
Il ciclo fotografico “Gipsy Positive Style” di Mauro Faletti propone una lettura pop-ironica dell’universo sinti e rom. Gli scatti fotografici riflettono l’interesse dell’artista per l’universo marginale delle nostre società metropolitane, mettendo in scena in modo surreale e onirico l’universo zigano, attraverso una poetica di tipo la chapelliano. Il ciclo fotografico prende avvio da una performance di travestimento, capace di porre in risalto il valore antropologico del camouflage nell’assunzione di un ruolo sociale, culturale e politico imposto, subito, ricercato e prodotto da parte di minoranze e maggioranze sociali ed etniche.
Il “camuffamento” diventa in questo modo l’indicatore e il produttore di un cortocircuito estetico che in modo ironico e pop mette in discussione le relazioni umane e le segnature antropologiche prodotte dal pregiudizio rispetto alla marginalità sociale.
a cura di Roberto Mastroianni e Angela Sofo
“GOING PLACES” - Jacques De Mélo
Il 23 maggio negli spazi della Fusion Art Gallery, il fotografo francese Jacques De Mélo che attualmente vive e lavora a New York, esporrà una personale dal titolo: “GOING PLACES”.
Il progetto nasce dalla volontà dell’artista di offrire una visione globale sull’immigrazione ritraendo gli immigrati che vivono ai margini della società. De Mélo ambisce a sensibilizzare l’opinione pubblica su temi sociali importanti come il razzismo, l’inedia, l’odio e il separatismo che ancora imperversano nel mondo e, a catturare attraverso l’obiettivo, gli sguardi delle persone, rendendoli visibili agli occhi di tutti e incoraggiando una maggiore consapevolezza del concetto di “multiculturalità”.
Gli scatti che saranno esposti fanno parte di una selezione di 100 ritratti di immigrati: italiani, portoghesi, algerini, marocchini, polacchi, turchi, curdi, africani, asiatici; popolazioni provenienti da ogni parte del mondo ora stabilite in aree urbanizzate e in regioni industriali della Francia. I ritratti di De Mélo simboleggiano una sorta di “mosaico etnico”, uno studio comparativo sulla diversità culturale e un viaggio nella narrazione storica e personale raccontata dai volti e dagli sguardi che gli immigrati ci offrono. Le immagini sono state scattate all’interno di uno speciale tendone montato appositamente per escludere la presenza del paesaggio e rivolgere l’attenzione soltanto alle persone fotografate.
Con la sua serie fotografica De Mèlo non vuole concentrarsi su questioni politiche, etniche o religiose ma rivolgersi unicamente agli individui e alla loro storia per dare risalto alle tracce di umanità che si rivelano attraverso le loro espressioni e per evidenziarne le speranze, le aspirazioni per il futuro, le ansie, le frustrazioni, l’ostracismo al quale sono dovuti soccombere, il loro amore e con esso i loro ricordi, sia nel bene che nel male, della vita trascorsa. De Mélo prova a scandagliare l’anima delle persone poste di fronte a lui, ricercandone l’aspetto più privato e intimo.
“Gipsy Positive Style”- Mauro Faletti
Il 23 maggio negli spazi della Fusion Art Gallery, il fotografo torinese Mauro Faletti, esporrà una personale dal titolo: “Gipsy Positive Style”.
Il ciclo fotografico “Gipsy Positive Style” di Mauro Faletti propone una lettura pop-ironica dell’universo sinti e rom. Gli scatti fotografici riflettono l’interesse dell’artista per l’universo marginale delle nostre società metropolitane, mettendo in scena in modo surreale e onirico l’universo zigano, attraverso una poetica di tipo la chapelliano. Il ciclo fotografico prende avvio da una performance di travestimento, capace di porre in risalto il valore antropologico del camouflage nell’assunzione di un ruolo sociale, culturale e politico imposto, subito, ricercato e prodotto da parte di minoranze e maggioranze sociali ed etniche.
Il “camuffamento” diventa in questo modo l’indicatore e il produttore di un cortocircuito estetico che in modo ironico e pop mette in discussione le relazioni umane e le segnature antropologiche prodotte dal pregiudizio rispetto alla marginalità sociale.
Irene Pittatore - In principio era il verso - dal 23 aprile al 15 maggio 2013
a cura di Roberto Mastroianni
IRENE PITTATORE In principio era il verso
A cura di Roberto Mastroianni
La mostra “In principio era il verso” sarà inaugurata martedì 23 aprile 2013 alle ore 19.00 presso gli spazi della Fusion Art Gallery di Piazza Amedeo Peyron 9 a Torino, con la curatela e il testo critico di Roberto Mastroianni.
“In principio era il verso”, un urlo, un ringhio capace di far scaturire la forza contraddittoria, brutale, creativa e al contempo autodistruttiva della vita, ma nello stesso tempo era il “verso” che come figura linguistica, metrica e stilistica è capace di portare con sé razionalità e ordine poetico. La ricerca di Irene Pittatore parte da qui e si concentra sul rapporto tra impulso vitale e forme del vivere singolo e associato, in una società che sembra ormai popolata di macerie e rovine ordinate in modo asettico, la cui forza vitale e genuinità si può cogliere solo ai margini, tra i resti di quelle “rovine” le quali non possono essere “restaurate”, ma che devono in qualche modo essere “rovinate”, in modo che dai loro resti possa emergere l’eccesso di senso relegato ai margini di una società apparentemente bene organizzata.
La mostra personale di Irene Pittatore che propone un percorso, attraverso una selezione di sei gruppi di opere, nella produzione degli ultimi anni della giovane artista torinese ponendo l’attenzione sulla parte performativa del suo lavoro, attraverso una selezione di opere ( per foto, video ed installazioni) che rappresentano la cifra della sua poetica e della sua ricerca, interrogandosi sulle possibilità dell’arte, del fare arte e della vita associata.
Per l’artista la fotografia, i video e le installazioni sono la modalità di fermare, cristallizzare, le immagini di un mondo contradditorio che le sue performance attraversano, ponendo l’accento sull’ identità inter-generazionale e di genere, sulle inquietudini singolari e plurali, che non riescono a diventare collettive e quindi politiche e sul rapporto desiderio-realizzazione, mancanza e disillusione. In un mondo, di cui sembra rimangano solo rovine.
a cura di Roberto Mastroianni
IRENE PITTATORE In principio era il verso
A cura di Roberto Mastroianni
La mostra “In principio era il verso” sarà inaugurata martedì 23 aprile 2013 alle ore 19.00 presso gli spazi della Fusion Art Gallery di Piazza Amedeo Peyron 9 a Torino, con la curatela e il testo critico di Roberto Mastroianni.
“In principio era il verso”, un urlo, un ringhio capace di far scaturire la forza contraddittoria, brutale, creativa e al contempo autodistruttiva della vita, ma nello stesso tempo era il “verso” che come figura linguistica, metrica e stilistica è capace di portare con sé razionalità e ordine poetico. La ricerca di Irene Pittatore parte da qui e si concentra sul rapporto tra impulso vitale e forme del vivere singolo e associato, in una società che sembra ormai popolata di macerie e rovine ordinate in modo asettico, la cui forza vitale e genuinità si può cogliere solo ai margini, tra i resti di quelle “rovine” le quali non possono essere “restaurate”, ma che devono in qualche modo essere “rovinate”, in modo che dai loro resti possa emergere l’eccesso di senso relegato ai margini di una società apparentemente bene organizzata.
La mostra personale di Irene Pittatore che propone un percorso, attraverso una selezione di sei gruppi di opere, nella produzione degli ultimi anni della giovane artista torinese ponendo l’attenzione sulla parte performativa del suo lavoro, attraverso una selezione di opere ( per foto, video ed installazioni) che rappresentano la cifra della sua poetica e della sua ricerca, interrogandosi sulle possibilità dell’arte, del fare arte e della vita associata.
Per l’artista la fotografia, i video e le installazioni sono la modalità di fermare, cristallizzare, le immagini di un mondo contradditorio che le sue performance attraversano, ponendo l’accento sull’ identità inter-generazionale e di genere, sulle inquietudini singolari e plurali, che non riescono a diventare collettive e quindi politiche e sul rapporto desiderio-realizzazione, mancanza e disillusione. In un mondo, di cui sembra rimangano solo rovine.
Pietro Reviglio | New York Interiors... Sguardi pittorici, fotografici e cinematografici - dall'8 marzo al 6 aprile 2013
a cura di Roberto Mastroianni
“NEW YORK INTERIORS...Sguardi pittorici, fotografici e cinematografici di Pietro Reviglio”
Mostra e testo critico a cura di Roberto Mastroianni
La mostra si presenta come una personale di tipo antologico che propone l’evoluzione della poetica e dello stile attraverso un viaggio tra più di 25 opere (15 dipinti di diverse dimensioni, video e foto) dell’artista.
Pietro Reviglio, che divide la sua ricerca e la sua attività tra l’Italia e gli Stati Uniti, è stato allievo di Robert Cenedella alla Arts Students League di New York, dove ha introiettato una poetica post-espressionista per poi superarla in una ricerca personale che interroga gli spazi umani e le relazioni personali, che in essi vengono a crearsi. Sempre a New York ha conosciuto Louise Bourgeois con cui ha aperto un dialogo artistico, presentando due opere al suo Sunday Salon (“Orange House” e “Pene”, di queste “Orange House” sarà in mostra).
Per l’artista le stanze sono scenari mentali che vengono forzati per portare alla luce tensioni, passioni, paure e relazioni che sfidano la claustrofobica chiusura degli spazi abitativi alla ricerca di una materializzazione di tensioni emotive, che in fotografia assumono il valore di una “cinematografia della follia urbana e delle pulsioni umane” e in pittura una fissazione di temporalità e spazialità emotive rapprese in immagine, al fine di superare la banalizzazione del quotidiano alla ricerca di un eccedenza di senso ed emozione. La mostra ripercorre l’evoluzione della sua pittura a partire dalla fase newyorkese (“New York Interiors” e “Noctural Visions”) fino all’attuale ricerca sui “fiori del male” (serie pittorica sull’incidenza del cancro sulle quotidianità umane in relazione agli affetti e agli spazi familiari e alla corporeità umana). Le fotografie esposte si presentano, invece, come una meta-riflessione sulla pittura e la potenza dell’immagine attraverso la registrazione artistica di performance sul colore e sul taglio dei dipinti. In mostra saranno presenti anche alcune opere della sua ultima esposizione all’Italian Academy della Columbia University of New York.
Nato a Torino nel 1976, Pietro Reviglio ha esposto negli Stati Uniti, in Italia, in Giappone e nel Regno Unito. Ha studiato pittura alla Art Students League di New York con Mary Beth McKenzie e Robert Cenedella e animazione alla School of Visual Arts. Ha inoltre conseguito un Dottorato di Ricerca in Astrofisica presso la Graduate School of Arts and Sciences della Columbia University di New York.
Tra le mostre più recenti: Castel dell'Ovo (Napoli), Palazzo Ducale (Genova), Museo Laboratorio d'Arte Contemporanea (Roma), Palazzo Farnese (Ambasciata di Francia, Roma), la 54esima Biennale di Venezia, Columbia University (New York), il Museo d'Arte Orientale (Torino) e la Ishida Taisheisha Hall di Kyoto. Articoli sul suo lavoro sono apparsi su Flash Art, NY Arts, La Stampa, La Repubblica, America24, Yahoo News.
Roberto Mastroianni è filosofo, curatore e critico d’arte. È ricercatore indipendente di semiotica, estetica filosofica e filosofia del linguaggio presso il C.I.R.Ce (Centro Interdipartimentale Ricerche sulla Comunicazione) del Dipartimento di Filosofia dell’Università degli Studi di Torino.
a cura di Roberto Mastroianni
“NEW YORK INTERIORS...Sguardi pittorici, fotografici e cinematografici di Pietro Reviglio”
Mostra e testo critico a cura di Roberto Mastroianni
La mostra si presenta come una personale di tipo antologico che propone l’evoluzione della poetica e dello stile attraverso un viaggio tra più di 25 opere (15 dipinti di diverse dimensioni, video e foto) dell’artista.
Pietro Reviglio, che divide la sua ricerca e la sua attività tra l’Italia e gli Stati Uniti, è stato allievo di Robert Cenedella alla Arts Students League di New York, dove ha introiettato una poetica post-espressionista per poi superarla in una ricerca personale che interroga gli spazi umani e le relazioni personali, che in essi vengono a crearsi. Sempre a New York ha conosciuto Louise Bourgeois con cui ha aperto un dialogo artistico, presentando due opere al suo Sunday Salon (“Orange House” e “Pene”, di queste “Orange House” sarà in mostra).
Per l’artista le stanze sono scenari mentali che vengono forzati per portare alla luce tensioni, passioni, paure e relazioni che sfidano la claustrofobica chiusura degli spazi abitativi alla ricerca di una materializzazione di tensioni emotive, che in fotografia assumono il valore di una “cinematografia della follia urbana e delle pulsioni umane” e in pittura una fissazione di temporalità e spazialità emotive rapprese in immagine, al fine di superare la banalizzazione del quotidiano alla ricerca di un eccedenza di senso ed emozione. La mostra ripercorre l’evoluzione della sua pittura a partire dalla fase newyorkese (“New York Interiors” e “Noctural Visions”) fino all’attuale ricerca sui “fiori del male” (serie pittorica sull’incidenza del cancro sulle quotidianità umane in relazione agli affetti e agli spazi familiari e alla corporeità umana). Le fotografie esposte si presentano, invece, come una meta-riflessione sulla pittura e la potenza dell’immagine attraverso la registrazione artistica di performance sul colore e sul taglio dei dipinti. In mostra saranno presenti anche alcune opere della sua ultima esposizione all’Italian Academy della Columbia University of New York.
Nato a Torino nel 1976, Pietro Reviglio ha esposto negli Stati Uniti, in Italia, in Giappone e nel Regno Unito. Ha studiato pittura alla Art Students League di New York con Mary Beth McKenzie e Robert Cenedella e animazione alla School of Visual Arts. Ha inoltre conseguito un Dottorato di Ricerca in Astrofisica presso la Graduate School of Arts and Sciences della Columbia University di New York.
Tra le mostre più recenti: Castel dell'Ovo (Napoli), Palazzo Ducale (Genova), Museo Laboratorio d'Arte Contemporanea (Roma), Palazzo Farnese (Ambasciata di Francia, Roma), la 54esima Biennale di Venezia, Columbia University (New York), il Museo d'Arte Orientale (Torino) e la Ishida Taisheisha Hall di Kyoto. Articoli sul suo lavoro sono apparsi su Flash Art, NY Arts, La Stampa, La Repubblica, America24, Yahoo News.
Roberto Mastroianni è filosofo, curatore e critico d’arte. È ricercatore indipendente di semiotica, estetica filosofica e filosofia del linguaggio presso il C.I.R.Ce (Centro Interdipartimentale Ricerche sulla Comunicazione) del Dipartimento di Filosofia dell’Università degli Studi di Torino.
Francesco Correggia - Adesso si mostra - dal 25 maggio al 12 giugno 2012
In questa mostra Francesco Coreggia propone l’idea di un viaggio interiore: un viaggio concreto che non ha l’ambizione di prendere per mano e condurre, ma di suggerire visioni. L’espediente è quello poetico anche se non è estranea la dimensione teatrale. La riproposta della sua perfomance nei panni di un prete davanti agli studenti di Brera (e alle molte persone che si sono fermate ad ascoltare) lo conferma. Nel naufragio con il mare e le nubi in tempesta e la zattera, dove lui s’è rappresentato piccolo, ma salvo, rivendica una nuova posizione romantico esistenziale. Il ciclo della natura è continuo, perché non può esserlo quello dell’uomo?
“I saw a something in the Sun”. Ho visto qualcosa nel sole. La parola e la pittura adesso si mostrano senza più veli. Il pensiero, l’ossessione dell’assenza (della morte) non è più così radicale, si stempera nel cambiamento come prima l’idea del corpo si enfatizzava nel travestimento.Il testo pittorico non si sostituisce a quello letterario, sono due registri insieme ed è la dichiarazione poetica di oggi, come lo erano le declamazioni dei sermoni di ieri. “Indicibile” è una distesa di cielo senza fine e sotto una linea brulicante nera a indicare la terra. “Nella luce si ritrae”, invece, è composta da verdi, neri, ocra intensi. Ma il simbolo del percorso di conoscenza di Francesco Correggia in questo decennio è “The Vessels Shall be Launched”, la tela con la citazione che rimanda a Samuel Taylor Coleridge, padre del romanticismo inglese, e alla sua ballata del vecchio marinaio: gessetti e grafite per le parole, leggere nella forma, materia pittorica per il vascello appena evocato. Una pittura ricca di passaggi a partire dalle dimensione della tela che l’artista stesso monta sul telaio, ai veli didimensione della tela in cui si leggono ripensamenti ed errori volutamente lasciati, e ancora l’apertura per un mutare dell’opera. Correggia in quest’opera si riferisce all’ultima parte della ballata di Coleridge, quando dopo l’incredibile avventura tra le onde il marinaio è soccorso da un battello con a bordo un eremita, cui non può fare a meno di raccontare la propria esistenza. Sollevato dalla sua agonia, il marinaio può riprendere il suo viaggio nel mondo e testimoniare la sua storia. E ricominciarla sempre di nuovo.
In questa mostra Francesco Coreggia propone l’idea di un viaggio interiore: un viaggio concreto che non ha l’ambizione di prendere per mano e condurre, ma di suggerire visioni. L’espediente è quello poetico anche se non è estranea la dimensione teatrale. La riproposta della sua perfomance nei panni di un prete davanti agli studenti di Brera (e alle molte persone che si sono fermate ad ascoltare) lo conferma. Nel naufragio con il mare e le nubi in tempesta e la zattera, dove lui s’è rappresentato piccolo, ma salvo, rivendica una nuova posizione romantico esistenziale. Il ciclo della natura è continuo, perché non può esserlo quello dell’uomo?
“I saw a something in the Sun”. Ho visto qualcosa nel sole. La parola e la pittura adesso si mostrano senza più veli. Il pensiero, l’ossessione dell’assenza (della morte) non è più così radicale, si stempera nel cambiamento come prima l’idea del corpo si enfatizzava nel travestimento.Il testo pittorico non si sostituisce a quello letterario, sono due registri insieme ed è la dichiarazione poetica di oggi, come lo erano le declamazioni dei sermoni di ieri. “Indicibile” è una distesa di cielo senza fine e sotto una linea brulicante nera a indicare la terra. “Nella luce si ritrae”, invece, è composta da verdi, neri, ocra intensi. Ma il simbolo del percorso di conoscenza di Francesco Correggia in questo decennio è “The Vessels Shall be Launched”, la tela con la citazione che rimanda a Samuel Taylor Coleridge, padre del romanticismo inglese, e alla sua ballata del vecchio marinaio: gessetti e grafite per le parole, leggere nella forma, materia pittorica per il vascello appena evocato. Una pittura ricca di passaggi a partire dalle dimensione della tela che l’artista stesso monta sul telaio, ai veli didimensione della tela in cui si leggono ripensamenti ed errori volutamente lasciati, e ancora l’apertura per un mutare dell’opera. Correggia in quest’opera si riferisce all’ultima parte della ballata di Coleridge, quando dopo l’incredibile avventura tra le onde il marinaio è soccorso da un battello con a bordo un eremita, cui non può fare a meno di raccontare la propria esistenza. Sollevato dalla sua agonia, il marinaio può riprendere il suo viaggio nel mondo e testimoniare la sua storia. E ricominciarla sempre di nuovo.
Glocal 3: fra Centro e periferia (quarto atto) - dal 24 aprile al 10 maggio 2012
a cura di Enrico Gusella e Walter Vallini
GLOCAL 3 :fra Centro e periferia (quarto atto )
A cura di Enrico Gusella e Walter Vallini
È nel segno della relazione e delle complessità che trae senso lo sviluppo della mostra , ideata da Enrico Gusella, con artisti che interpretano un quadro globale dei cambiamenti in cui” recuperare forme e valori, che si manifestano attraverso configurazioni tese a dare una lettura il più possibile organica e complessa della realtà ambientale e paesaggistica dei nostri tempi.”
È su questo terreno, della città come paesaggio, non solo industriale ma, anche, connettivo, di reti e relazioni, che si sviluppa a Torino alla Fusion Art Gallery il quarto atto della mostra “Glocal 3: fra Centro e periferia” curata da Enrico Gusella e Walter Vallini.
Ito Fukushi con le sue immagini quasi tridimensionali presenta una Milano rarefatta ma complessa ;Mauro Faletti ci mostra surreali panchine dove si registrano i movimenti umani ; Youliana Manoleva presenta un’indagine sui campanelli delle abitazioni che immortalano le città , mentre
Pierantonio Tanzola opera su di un paesaggio dai contorni metacomunicativi.
E ancora Giovanna Torresin partendo dal cuore arriva alla periferia dei ricordi familiari testimoniando un paesaggio interiore.
Infine Fannidada con i “tetravideobox” ,sorta di video-sculture urbane che rappresentano la città perfetta e Luigi Gariglio con due video che rappresentano paesaggi montani legati al tempo, alla natura e alla vita.
a cura di Enrico Gusella e Walter Vallini
GLOCAL 3 :fra Centro e periferia (quarto atto )
A cura di Enrico Gusella e Walter Vallini
È nel segno della relazione e delle complessità che trae senso lo sviluppo della mostra , ideata da Enrico Gusella, con artisti che interpretano un quadro globale dei cambiamenti in cui” recuperare forme e valori, che si manifestano attraverso configurazioni tese a dare una lettura il più possibile organica e complessa della realtà ambientale e paesaggistica dei nostri tempi.”
È su questo terreno, della città come paesaggio, non solo industriale ma, anche, connettivo, di reti e relazioni, che si sviluppa a Torino alla Fusion Art Gallery il quarto atto della mostra “Glocal 3: fra Centro e periferia” curata da Enrico Gusella e Walter Vallini.
Ito Fukushi con le sue immagini quasi tridimensionali presenta una Milano rarefatta ma complessa ;Mauro Faletti ci mostra surreali panchine dove si registrano i movimenti umani ; Youliana Manoleva presenta un’indagine sui campanelli delle abitazioni che immortalano le città , mentre
Pierantonio Tanzola opera su di un paesaggio dai contorni metacomunicativi.
E ancora Giovanna Torresin partendo dal cuore arriva alla periferia dei ricordi familiari testimoniando un paesaggio interiore.
Infine Fannidada con i “tetravideobox” ,sorta di video-sculture urbane che rappresentano la città perfetta e Luigi Gariglio con due video che rappresentano paesaggi montani legati al tempo, alla natura e alla vita.
LA RELIGIOSITÀ DEL RITO - gio 9 febbraio 2012
Tornando altrove - dal 12 al 26 gennaio 2012
a cura di Enrico Bortolozzo
con Fabrizio Amort, Roberto Ferrero, Marco Garrone, Francesco Germinara, Barbara Malacart, Marco Masanotti, Elena Simonatti, Stefano Trevisani, Marco Vergano
a cura di Enrico Bortolozzo
con Fabrizio Amort, Roberto Ferrero, Marco Garrone, Francesco Germinara, Barbara Malacart, Marco Masanotti, Elena Simonatti, Stefano Trevisani, Marco Vergano
Simone Ferrarini - I buoni e i cattivi. Non tutto è come sembra - dal 20 ottobre al 25 novembre 2011
a cura di Maria Cristina Strati
Sapete chi è Marcello Micheluzzi? Non fate finta di conoscerlo, come si fa alle inaugurazioni con i nomi degli artisti più cool appena scoperti da Saatchi o da Jeffrey Deitch e di cui nessuno ha mai sentito parlare (ma guai ad ammetterlo!). Marcello Micheluzzi è un personaggio semi sconosciuto, un italiano qualunque, vissuto negli anni venti del secolo scorso e che passò alla storia per due ragioni diverse e tra loro opposte, almeno dal punto di vista “morale”.
La prima ragione per cui qualcuno si ricorda di Marcello è per una sua foto segnaletica, scattatagli dalla polizia in virtù della sua allora fiorente attività di rapinatore di banche. L’altra ragione, e questa è divertente, è che Marcello Micheluzzi non fu solo un noto bandito dell’epoca, ma anche un inventore riconosciuto. Certo, non scoprì il vaccino per la tubercolosi o l’aria condizionata o altro, non fu così grande, ma è effettivamente ricordato nella storia come l’inventore della sega circolare.
Bene, non state leggendo in anteprima la trama del prossimo film di Woody Allen.
Questa è una mostra di pittura, pensata e realizzata con l’intenzione di mettere allegramente in crisi (noi speriamo in un modo proficuo) alcuni modi di pensare diffusi, socialmente accettabili e convenienti.
In altre parole, per scrivere un bel punto interrogativo davanti, o meglio dietro a tutte le idee preconcette che fanno giudicare in fretta e comodamente, magari ricorrendo a cliché e luoghi comuni frusti e stereotipati, tanto per sistemare la coscienza e non rischiare di mettere in gioco noi stessi, la nostra immagine e le idee a cui siamo affezionati. E forse anche per rendere la vita un po’ più monotona e meno interessante.
La mostra si compone di una serie di tele di grandi dimensioni (1,60x3 m), appese al soffitto in modo da creare un vero e proprio percorso, che parte dalla pittura e ci passa fisicamente attraverso: da alcuni grandissimi della storia dell’arte e della musica rock ai miti del cinema, fino santi della tradizione, passando per Yoko Ono, i Beatles e molti altri. Da una parte i buoni, dall’altra i cattivi, alcuni su sfondo scuro, altri che campeggiano su tele chiare e luminose.
Ma chi è buono e chi è cattivo? Attenzione, non tutto è come sembra.
Simone Ferrarini è nato nel 1976 a San Polo d’Enza (Reggio Emilia), dove vive e lavora. Ha esposto in mostre personali e collettive in Italia e all’estero ed è oggi alla sua prima personale a Torino. Ma è anche un ciclista, un formatore, un artigiano, un blogger, uno che collabora con un collettivo di street art e, a suo dire, un italiano medio. Se vi ricordate di averlo incontrato all’ultimo vernissage della galleria più trendy che vi viene in mente, probabilmente vi state confondendo con un altro.
M.C.S., settembre 2011
a cura di Maria Cristina Strati
Sapete chi è Marcello Micheluzzi? Non fate finta di conoscerlo, come si fa alle inaugurazioni con i nomi degli artisti più cool appena scoperti da Saatchi o da Jeffrey Deitch e di cui nessuno ha mai sentito parlare (ma guai ad ammetterlo!). Marcello Micheluzzi è un personaggio semi sconosciuto, un italiano qualunque, vissuto negli anni venti del secolo scorso e che passò alla storia per due ragioni diverse e tra loro opposte, almeno dal punto di vista “morale”.
La prima ragione per cui qualcuno si ricorda di Marcello è per una sua foto segnaletica, scattatagli dalla polizia in virtù della sua allora fiorente attività di rapinatore di banche. L’altra ragione, e questa è divertente, è che Marcello Micheluzzi non fu solo un noto bandito dell’epoca, ma anche un inventore riconosciuto. Certo, non scoprì il vaccino per la tubercolosi o l’aria condizionata o altro, non fu così grande, ma è effettivamente ricordato nella storia come l’inventore della sega circolare.
Bene, non state leggendo in anteprima la trama del prossimo film di Woody Allen.
Questa è una mostra di pittura, pensata e realizzata con l’intenzione di mettere allegramente in crisi (noi speriamo in un modo proficuo) alcuni modi di pensare diffusi, socialmente accettabili e convenienti.
In altre parole, per scrivere un bel punto interrogativo davanti, o meglio dietro a tutte le idee preconcette che fanno giudicare in fretta e comodamente, magari ricorrendo a cliché e luoghi comuni frusti e stereotipati, tanto per sistemare la coscienza e non rischiare di mettere in gioco noi stessi, la nostra immagine e le idee a cui siamo affezionati. E forse anche per rendere la vita un po’ più monotona e meno interessante.
La mostra si compone di una serie di tele di grandi dimensioni (1,60x3 m), appese al soffitto in modo da creare un vero e proprio percorso, che parte dalla pittura e ci passa fisicamente attraverso: da alcuni grandissimi della storia dell’arte e della musica rock ai miti del cinema, fino santi della tradizione, passando per Yoko Ono, i Beatles e molti altri. Da una parte i buoni, dall’altra i cattivi, alcuni su sfondo scuro, altri che campeggiano su tele chiare e luminose.
Ma chi è buono e chi è cattivo? Attenzione, non tutto è come sembra.
Simone Ferrarini è nato nel 1976 a San Polo d’Enza (Reggio Emilia), dove vive e lavora. Ha esposto in mostre personali e collettive in Italia e all’estero ed è oggi alla sua prima personale a Torino. Ma è anche un ciclista, un formatore, un artigiano, un blogger, uno che collabora con un collettivo di street art e, a suo dire, un italiano medio. Se vi ricordate di averlo incontrato all’ultimo vernissage della galleria più trendy che vi viene in mente, probabilmente vi state confondendo con un altro.
M.C.S., settembre 2011
dal 15 al 30 settembre 2011 Confini 09. Rassegna di Fotografia contemporanea
curatori: Clelia Belgrado, Fulvio Bortolozzo, Leonardo Brogioni, Maurizio Chelucci, Ivan Margheri, Fulvio Merlak, Francesco Tei
autori: Franco Borrelli, Anna Fabroni, Alessandro Pagni, Sandro Rafanelli, Bruno Taddei
curatori: Clelia Belgrado, Fulvio Bortolozzo, Leonardo Brogioni, Maurizio Chelucci, Ivan Margheri, Fulvio Merlak, Francesco Tei
autori: Franco Borrelli, Anna Fabroni, Alessandro Pagni, Sandro Rafanelli, Bruno Taddei
CONFINI 09 A TORINO
DAL 15 AL 30 SETTEMBRE 2011
La rassegna fotografica italiana che ha per filo conduttore la fotografia al confine, in termini di linguaggio o di tecnica importati da altri media, inizia quest’anno da Torino il proprio ciclo espositivo. La nona edizione di questa rassegna annuale, ideata e organizzata da PhotoGallery di Firenze e MassenzioArte di Roma, presenta cinque artisti che intervengono sul supporto fotografico con interessanti tecniche personali.
Anna Fabroni, Spessori Silenziosi.
Bruno Taddei, Graffi dell'anima.
Franco Borrelli, From Inside.
Alessandro Pagni, Sussidiario Egoista.
Sandro Rafanelli, Phantasmagoria.
Confini è ormai il principale appuntamento annuale in Italia per presentare chi propone un modo alternativo di immaginare la fotografia, forte di un proprio linguaggio e di una personale visione della realtà. Gli artisti in mostra sono stati selezionati fra i circa 170 candidati che hanno risposto allo specifico bando di concorso pubblicato sul sito web www.photographers.it, partner culturale della manifestazione, e i dodici proposti dai curatori che partecipano a Confini.
Date e luoghi
Torino, Fusion Art Gallery, 15 – 30 settembre 2011.
Firenze, PhotoGallery, 10 – 22 ottobre 2011.
Roma, MassenzioArte, 10 -20 novembre 2011.
Milano, Polifemo Fotografia, 16 gennaio – 3 febbraio 2012.
Genova, VisionQuest, 23 febbraio – 8 marzo 2012.
Trieste, Sala Fenice, 18 aprile - 11 maggio 2012.
DAL 15 AL 30 SETTEMBRE 2011
La rassegna fotografica italiana che ha per filo conduttore la fotografia al confine, in termini di linguaggio o di tecnica importati da altri media, inizia quest’anno da Torino il proprio ciclo espositivo. La nona edizione di questa rassegna annuale, ideata e organizzata da PhotoGallery di Firenze e MassenzioArte di Roma, presenta cinque artisti che intervengono sul supporto fotografico con interessanti tecniche personali.
Anna Fabroni, Spessori Silenziosi.
Bruno Taddei, Graffi dell'anima.
Franco Borrelli, From Inside.
Alessandro Pagni, Sussidiario Egoista.
Sandro Rafanelli, Phantasmagoria.
Confini è ormai il principale appuntamento annuale in Italia per presentare chi propone un modo alternativo di immaginare la fotografia, forte di un proprio linguaggio e di una personale visione della realtà. Gli artisti in mostra sono stati selezionati fra i circa 170 candidati che hanno risposto allo specifico bando di concorso pubblicato sul sito web www.photographers.it, partner culturale della manifestazione, e i dodici proposti dai curatori che partecipano a Confini.
Date e luoghi
Torino, Fusion Art Gallery, 15 – 30 settembre 2011.
Firenze, PhotoGallery, 10 – 22 ottobre 2011.
Roma, MassenzioArte, 10 -20 novembre 2011.
Milano, Polifemo Fotografia, 16 gennaio – 3 febbraio 2012.
Genova, VisionQuest, 23 febbraio – 8 marzo 2012.
Trieste, Sala Fenice, 18 aprile - 11 maggio 2012.
Schindler per l’Arte - “Living in Lift”
Mostra d’arte contemporanea dal 16 giugno al 31 luglio 2011
Dopo la presenza al Fuorisalone di Milano con l'installazione “Sveglia Kundalini” dell’artista
torinese Cinzia Ceccarelli, Schindler Italia ...
Mostra d’arte contemporanea dal 16 giugno al 31 luglio 2011
Dopo la presenza al Fuorisalone di Milano con l'installazione “Sveglia Kundalini” dell’artista
torinese Cinzia Ceccarelli, Schindler Italia ...
dal 22 ottobre al 21 dicembre 2010 Bertrand | Melioli | Mussini - Le Regole del Gioco
a cura di Edoardo Di Mauro e Walter Vallini
Con questa mostra la Fusion Art Gallery presenta tre artisti tra i più coerenti e rigorosi del panorama italiano nell’ambito di una ricerca autenticamente tesa ad indagare la possibilità di portare il linguaggio dell’arte verso territori nuovi e non ancora del tutto esplorati quanto a concrete potenzialità di innovazione. Pur presentando punti in comune che rendono del tutto sintonica la loro compartecipazione al progetto espositivo “Le Regole del Gioco”, in Ennio Bertrand e Pietro Mussini, che fanno parte del collettivo we-are-making-digital art, è evidente l’attenzione prioritaria nei confronti delle possibilità offerte all’arte dalla tecnologia digitale di cui sono considerati, non solo in Italia, tra i più avanzati sperimentatori, mentre in Iler Melioli questo rapporto è sostanzialmente evocato ed indirizzato verso l’aniconicità di un concettualismo neo-geo sviluppato in un’ottica tridimensionale. Venendo ad una sintetica descrizione delle poetiche Ennio Bertrand presenta alcune sue storiche installazioni di video interattivi. Queste opere necessitano della corresponsabilità del partecipante fondamentale per attivare l’interattività dei sistemi computerizzati che animano le installazioni. Avvicinando una mano al monitor precipitiamo nel drammatico evento al WTC di New York, un'altra opera ci permette di ripetere artisticamente delle brevi clip di cartoni animati in cui le soluzioni proposte ai conflitti non sono dialettiche ma propongono un sentiero manicheo di distruttività. Un altra opera presente in mostra irride la natura voyeuristica della nostra mano, e sarà anche possibile fruire di alcuni disegni e dei “Cieli”, lavori realizzati con la luce digitale di Leds. Iler Melioli è un autore che, nel corso degli anni, ha incontrato il sostegno della critica maggiormente qualificata. Il suo linguaggio fa parte di una più ampia linea di tendenza maturata tra la seconda metà degli anni ottanta ed i primi anni novanta, a livello americano ed europeo, che prevede una sorta di “ritorno” alla materia ed alla castità delle forme. Nella rassegna “AnniNovanta” Renato Barilli inserisce la ricerca di Melioli nel quadro del neo minimalismo accanto al lavoro di artisti come Ham Steinbach, Peter Halley, John Armleder, Gunther Forg e gli italiani Arienti e Cavenago. Nel quadro dell’ultimo decennio la ricerca artistica di Melioli procede verso un’evoluzione della scultura oggettuale e comprende lo sviluppo di un linguaggio visivo strutturato su una geometria in 3D idonea a coniugare il piano pittorico a quello tridimensionale delle forme plastiche. Pietro Mussini conduce da anni una ricerca sulle possibilità di rendere poetica, in arte, la tecnologia, utilizzandone i materiali ed interagendo con essi. L’artista porta avanti una ricerca sulla rappresentazione di un paesaggio dove le macchine si pongano come mediatrici dell’agire artistico ; il computer, come soggetto/oggetto di uno scambio reciproco tra più nature, di una osmosi tra artifici, in un gioco combinatorio di poetiche, metafore e risoluzioni sensoriali che abbinano luci, suono, colore, diventa lo strumento possibile di un contemporaneo fare poetico . Il paesaggio realizzato attraverso le macchine (“il giardino cablato”) si lega all’algoritmo come metafora che lo crea : attraverso la creazione di molteplici interfacce percettive le nuove tecnologie diventano uno strumento non solo di mimesi, ma di vera e propria creazione di una “nuova natura”, che prelude ad una nuova umanità, sensibile a stimolazioni e ad immaginari poetici che vanno aldilà dell’orizzonte percettivo finora conosciuto.
Edoardo Di Mauro
a cura di Edoardo Di Mauro e Walter Vallini
Con questa mostra la Fusion Art Gallery presenta tre artisti tra i più coerenti e rigorosi del panorama italiano nell’ambito di una ricerca autenticamente tesa ad indagare la possibilità di portare il linguaggio dell’arte verso territori nuovi e non ancora del tutto esplorati quanto a concrete potenzialità di innovazione. Pur presentando punti in comune che rendono del tutto sintonica la loro compartecipazione al progetto espositivo “Le Regole del Gioco”, in Ennio Bertrand e Pietro Mussini, che fanno parte del collettivo we-are-making-digital art, è evidente l’attenzione prioritaria nei confronti delle possibilità offerte all’arte dalla tecnologia digitale di cui sono considerati, non solo in Italia, tra i più avanzati sperimentatori, mentre in Iler Melioli questo rapporto è sostanzialmente evocato ed indirizzato verso l’aniconicità di un concettualismo neo-geo sviluppato in un’ottica tridimensionale. Venendo ad una sintetica descrizione delle poetiche Ennio Bertrand presenta alcune sue storiche installazioni di video interattivi. Queste opere necessitano della corresponsabilità del partecipante fondamentale per attivare l’interattività dei sistemi computerizzati che animano le installazioni. Avvicinando una mano al monitor precipitiamo nel drammatico evento al WTC di New York, un'altra opera ci permette di ripetere artisticamente delle brevi clip di cartoni animati in cui le soluzioni proposte ai conflitti non sono dialettiche ma propongono un sentiero manicheo di distruttività. Un altra opera presente in mostra irride la natura voyeuristica della nostra mano, e sarà anche possibile fruire di alcuni disegni e dei “Cieli”, lavori realizzati con la luce digitale di Leds. Iler Melioli è un autore che, nel corso degli anni, ha incontrato il sostegno della critica maggiormente qualificata. Il suo linguaggio fa parte di una più ampia linea di tendenza maturata tra la seconda metà degli anni ottanta ed i primi anni novanta, a livello americano ed europeo, che prevede una sorta di “ritorno” alla materia ed alla castità delle forme. Nella rassegna “AnniNovanta” Renato Barilli inserisce la ricerca di Melioli nel quadro del neo minimalismo accanto al lavoro di artisti come Ham Steinbach, Peter Halley, John Armleder, Gunther Forg e gli italiani Arienti e Cavenago. Nel quadro dell’ultimo decennio la ricerca artistica di Melioli procede verso un’evoluzione della scultura oggettuale e comprende lo sviluppo di un linguaggio visivo strutturato su una geometria in 3D idonea a coniugare il piano pittorico a quello tridimensionale delle forme plastiche. Pietro Mussini conduce da anni una ricerca sulle possibilità di rendere poetica, in arte, la tecnologia, utilizzandone i materiali ed interagendo con essi. L’artista porta avanti una ricerca sulla rappresentazione di un paesaggio dove le macchine si pongano come mediatrici dell’agire artistico ; il computer, come soggetto/oggetto di uno scambio reciproco tra più nature, di una osmosi tra artifici, in un gioco combinatorio di poetiche, metafore e risoluzioni sensoriali che abbinano luci, suono, colore, diventa lo strumento possibile di un contemporaneo fare poetico . Il paesaggio realizzato attraverso le macchine (“il giardino cablato”) si lega all’algoritmo come metafora che lo crea : attraverso la creazione di molteplici interfacce percettive le nuove tecnologie diventano uno strumento non solo di mimesi, ma di vera e propria creazione di una “nuova natura”, che prelude ad una nuova umanità, sensibile a stimolazioni e ad immaginari poetici che vanno aldilà dell’orizzonte percettivo finora conosciuto.
Edoardo Di Mauro
dal 17 settembre al 19 ottobre 2010 Giorgio Cutini / Bruno Mangiaterra
a cura di Edoardo Di Mauro e Walter Vallini
La fotografia, nell’ultimo trentennio, si è avvalsa della disinibizione formale cifra stilistica del postmoderno per riversarsi massiccia nel panorama eclettico della contemporaneità privilegiando la funzione piuttosto che l’oggetto e diventando, negli anni ’80 ma ancora di più nel decennio successivo e fino ai giorni nostri, la dimensione narrativa maggioritaria, in compagnia di quello che è stato il suo secondo derivato tecnologico dopo il cinema, il video. L’atteggiamento si è manifestato nella duplice accezione di una partecipazione “fredda”, tendente a privilegiare una classificazione impersonale ed asettica dell’esistente e della banalità quotidiana, ed un’altra dimensione “calda”, “psicologica”, in cui gli artisti hanno adoperato il mezzo come estensione del proprio io, per calarsi nel reale con atteggiamento di empatica partecipazione. Giorgio Cutini è un autore che riesce con la sua ricerca a proporre immagini coinvolgenti che inducono il fruitore accorto a riflettere sulle inesauribili potenzialità linguistiche di questo strumento, e non è davvero cosa da poco. Perugino trapiantato nelle Marche, chirurgo ed artista, Cutini dà vita nel 1995 insieme a compagni di strada quali Enzo Carli, Gianni Berengo Gardin e Mario Giacomelli ad un gruppo di ricerca denominato “Passaggio di frontiera”. Obiettivo dichiarato quello di esaltare la specificità del mezzo fotografico tra realtà, astrazione e concetto in una dimensione soprattutto interiore. Ed è dall’interiorità che nasce e si sviluppa la ricerca di Giorgio Cutini. L’artista osserva il reale, che può essere costituito da squarci di paesaggio urbano, interni intrisi dalla dimensione intima oppure scorci e paesaggi naturali, introiettandolo e porgendolo alla visione altrui chiedendo ed ottenendo sempre una partecipazione empatica all’evento. Evento che viene bloccato in un particolare momento del suo divenire e fissato nell’eternità temporalizzata dell’esserci nel “qui ed ora”. Il lavoro di Cutini è del tutto sintonizzato con le tesi sviluppate da Walter Benjamin nel suo celebre e fondamentale saggio degli anni Trenta sulla riproducibilità dell’opera d’arte laddove afferma che l’autentica specificità della fotografia come linguaggio sta nel farci cogliere elementi del reale non distinguibili con la normale attitudine percettiva.
Edoardo Di Mauro
Nell’ambito della mia ricerca critica il cui esordio è datato metà anni ottanta, da sempre focalizzata prioritariamente sulla scena artistica italiana, fin dai primi anni novanta, e l’assunto teorico è valido a tutt’oggi, ho individuato l’esistenza di una “generazione di mezzo” che ne costituisce uno dei nodi tuttora irrisolti quanto a definizione e storicizzazione, in quanto il nostro sistema ha di fatto bloccato tutto quanto fosse estraneo e non complice con i gruppi dell’Arte Povera e della Transavanguardia. Questo ambito generazionale è esteso ai nati tra la fine degli anni quaranta ed i primi anni cinquanta, fino alla seconda metà dei sessanta. Nella prima fascia sono inseriti artisti che hanno inevitabilmente subito influenze dalle due macro tendenze prima citate, a partire dalle quali hanno però saputo sviluppare la loro poetica in una dimensione più allargata ed attenta agli umori del contemporaneo. Tra questi può senz’altro inserirsi la personalità di Bruno Mangiaterra. Ho conosciuto l’artista, che è anche attivo promotore culturale e fine teorico nella sua città, Loreto, in occasione di una rassegna da lui promossa dedicata alle tendenze emergenti di quegli anni. Il lavoro di Mangiaterra parte indubbiamente da una matrice di riflessione concettuale ma si estende, con un eclettismo formale del tutto coerente con la sua ispirazione, verso un versante che è soprattutto antropologico. Antropologico nel senso di una ricerca incessante del rapporto che l’uomo intrattiene, dall’antichità ad oggi, con il mito e l’intero repertorio simbolico, con la natura ed il territorio, con il linguaggio dell’arte e la sua sempre sfuggente ed enigmatica definizione. Mangiaterra persegue questa sua ricerca fecondandola con il dialogo che intrattiene con altri artisti, alla ricerca di punti di tangenza ed obiettivi comuni, esemplare da questo punto di vista la sua collaborazione con Giorgio Cutini, nonché con numerosi poeti del territorio. Infatti il rapporto con la parola, anch’esso elemento legato all’antropologia, è connesso strettamente alla sua poetica. Sotto forma di brani di poesia, inserti di scrittura che balenano all’interno della composizione pittorica, oppure luci al neon, le parole sono una costante dei lavori di Mangiaterra, dove convivono armoniosamente pittura “pura” o contaminata con inserti oggettuali ed installazione proposta in varie fogge, con inesauribile fantasia. Le frasi al neon, come nel caso di “neltempiointerioreperritrovareilpropriooriente”, corollario di un’opera allestita alla Fusion Art Gallery, adempiono ad uno scopo assiomatico del tutto integrato al resto dell’opera e non hanno una funzione di conferma tautologica del significante originario, come nel caso di Joseph Kosuth.
Edoardo Di Mauro
a cura di Edoardo Di Mauro e Walter Vallini
La fotografia, nell’ultimo trentennio, si è avvalsa della disinibizione formale cifra stilistica del postmoderno per riversarsi massiccia nel panorama eclettico della contemporaneità privilegiando la funzione piuttosto che l’oggetto e diventando, negli anni ’80 ma ancora di più nel decennio successivo e fino ai giorni nostri, la dimensione narrativa maggioritaria, in compagnia di quello che è stato il suo secondo derivato tecnologico dopo il cinema, il video. L’atteggiamento si è manifestato nella duplice accezione di una partecipazione “fredda”, tendente a privilegiare una classificazione impersonale ed asettica dell’esistente e della banalità quotidiana, ed un’altra dimensione “calda”, “psicologica”, in cui gli artisti hanno adoperato il mezzo come estensione del proprio io, per calarsi nel reale con atteggiamento di empatica partecipazione. Giorgio Cutini è un autore che riesce con la sua ricerca a proporre immagini coinvolgenti che inducono il fruitore accorto a riflettere sulle inesauribili potenzialità linguistiche di questo strumento, e non è davvero cosa da poco. Perugino trapiantato nelle Marche, chirurgo ed artista, Cutini dà vita nel 1995 insieme a compagni di strada quali Enzo Carli, Gianni Berengo Gardin e Mario Giacomelli ad un gruppo di ricerca denominato “Passaggio di frontiera”. Obiettivo dichiarato quello di esaltare la specificità del mezzo fotografico tra realtà, astrazione e concetto in una dimensione soprattutto interiore. Ed è dall’interiorità che nasce e si sviluppa la ricerca di Giorgio Cutini. L’artista osserva il reale, che può essere costituito da squarci di paesaggio urbano, interni intrisi dalla dimensione intima oppure scorci e paesaggi naturali, introiettandolo e porgendolo alla visione altrui chiedendo ed ottenendo sempre una partecipazione empatica all’evento. Evento che viene bloccato in un particolare momento del suo divenire e fissato nell’eternità temporalizzata dell’esserci nel “qui ed ora”. Il lavoro di Cutini è del tutto sintonizzato con le tesi sviluppate da Walter Benjamin nel suo celebre e fondamentale saggio degli anni Trenta sulla riproducibilità dell’opera d’arte laddove afferma che l’autentica specificità della fotografia come linguaggio sta nel farci cogliere elementi del reale non distinguibili con la normale attitudine percettiva.
Edoardo Di Mauro
Nell’ambito della mia ricerca critica il cui esordio è datato metà anni ottanta, da sempre focalizzata prioritariamente sulla scena artistica italiana, fin dai primi anni novanta, e l’assunto teorico è valido a tutt’oggi, ho individuato l’esistenza di una “generazione di mezzo” che ne costituisce uno dei nodi tuttora irrisolti quanto a definizione e storicizzazione, in quanto il nostro sistema ha di fatto bloccato tutto quanto fosse estraneo e non complice con i gruppi dell’Arte Povera e della Transavanguardia. Questo ambito generazionale è esteso ai nati tra la fine degli anni quaranta ed i primi anni cinquanta, fino alla seconda metà dei sessanta. Nella prima fascia sono inseriti artisti che hanno inevitabilmente subito influenze dalle due macro tendenze prima citate, a partire dalle quali hanno però saputo sviluppare la loro poetica in una dimensione più allargata ed attenta agli umori del contemporaneo. Tra questi può senz’altro inserirsi la personalità di Bruno Mangiaterra. Ho conosciuto l’artista, che è anche attivo promotore culturale e fine teorico nella sua città, Loreto, in occasione di una rassegna da lui promossa dedicata alle tendenze emergenti di quegli anni. Il lavoro di Mangiaterra parte indubbiamente da una matrice di riflessione concettuale ma si estende, con un eclettismo formale del tutto coerente con la sua ispirazione, verso un versante che è soprattutto antropologico. Antropologico nel senso di una ricerca incessante del rapporto che l’uomo intrattiene, dall’antichità ad oggi, con il mito e l’intero repertorio simbolico, con la natura ed il territorio, con il linguaggio dell’arte e la sua sempre sfuggente ed enigmatica definizione. Mangiaterra persegue questa sua ricerca fecondandola con il dialogo che intrattiene con altri artisti, alla ricerca di punti di tangenza ed obiettivi comuni, esemplare da questo punto di vista la sua collaborazione con Giorgio Cutini, nonché con numerosi poeti del territorio. Infatti il rapporto con la parola, anch’esso elemento legato all’antropologia, è connesso strettamente alla sua poetica. Sotto forma di brani di poesia, inserti di scrittura che balenano all’interno della composizione pittorica, oppure luci al neon, le parole sono una costante dei lavori di Mangiaterra, dove convivono armoniosamente pittura “pura” o contaminata con inserti oggettuali ed installazione proposta in varie fogge, con inesauribile fantasia. Le frasi al neon, come nel caso di “neltempiointerioreperritrovareilpropriooriente”, corollario di un’opera allestita alla Fusion Art Gallery, adempiono ad uno scopo assiomatico del tutto integrato al resto dell’opera e non hanno una funzione di conferma tautologica del significante originario, come nel caso di Joseph Kosuth.
Edoardo Di Mauro
dal 10 giugno al 23 luglio 2010 Codice Sorgente
a cura di Maria Cristina Strati
Opere di: Guglielmo Castelli, Costanza Costamagna, Yael Plat e Massimo Spada.
Codice sorgente è un termine usato in informatica per definire il dna di un sito web.
Nel nostro contesto il termine è inteso invece nel doppio senso del linguaggio, o codice che origina il discorso e la ricerca artistica.
Il senso del sorgere ha anche a che fare con la giovane età degli artisti coinvolti, tutti all’inizio della loro carriera e quindi colti nel momento produttivo del sorgere di un linguaggio e di un percorso artistico che ha già però una sua precisa e peculiare identità.
Curata da Maria Cristina Strati e pensata in occasione di Torino Youth Capital 2010, l’esposizione si propone di fornire una visione della giovane arte contemporanea a Torino prescindendo dai pregiudizi stilistici e lavorando sui vari generi artistici, considerandoli linguaggi di pari interesse e dignità.
Si punta quindi ad esaltare il dialogo tra le diverse forme artistiche, identificando una visione dell’arte e del suo linguaggio che prescinda dalla mera distinzione “politica” di generi identificando così un percorso critico e artistico originale dal punto di vista concettuale come da quello estetico.
Dal punto di vista del contenuto, gli artisti presenti in mostra rivelano poi anche qualche tema in comune. Argomenti come l’infanzia, il gioco, il sacro, l’identità personale, si articolano di volta in volta in modi e tempi diversi, giungendo a conclusioni tra loro armoniche.
a cura di Maria Cristina Strati
Opere di: Guglielmo Castelli, Costanza Costamagna, Yael Plat e Massimo Spada.
Codice sorgente è un termine usato in informatica per definire il dna di un sito web.
Nel nostro contesto il termine è inteso invece nel doppio senso del linguaggio, o codice che origina il discorso e la ricerca artistica.
Il senso del sorgere ha anche a che fare con la giovane età degli artisti coinvolti, tutti all’inizio della loro carriera e quindi colti nel momento produttivo del sorgere di un linguaggio e di un percorso artistico che ha già però una sua precisa e peculiare identità.
Curata da Maria Cristina Strati e pensata in occasione di Torino Youth Capital 2010, l’esposizione si propone di fornire una visione della giovane arte contemporanea a Torino prescindendo dai pregiudizi stilistici e lavorando sui vari generi artistici, considerandoli linguaggi di pari interesse e dignità.
Si punta quindi ad esaltare il dialogo tra le diverse forme artistiche, identificando una visione dell’arte e del suo linguaggio che prescinda dalla mera distinzione “politica” di generi identificando così un percorso critico e artistico originale dal punto di vista concettuale come da quello estetico.
Dal punto di vista del contenuto, gli artisti presenti in mostra rivelano poi anche qualche tema in comune. Argomenti come l’infanzia, il gioco, il sacro, l’identità personale, si articolano di volta in volta in modi e tempi diversi, giungendo a conclusioni tra loro armoniche.
gio 27 maggio 2010 International Help
bevisible+ e Fusion Art Gallery organizzano una serata di raccolta fondi a sostegno di International Help Onlus dal 1995 impegnata in una azione di solidarietà sociale a supporto delle aree più disagiate del pianeta Saranno messe all'asta le opere della personale di Marina Franci "Paparazzi Nhow"
bevisible+ e Fusion Art Gallery organizzano una serata di raccolta fondi a sostegno di International Help Onlus dal 1995 impegnata in una azione di solidarietà sociale a supporto delle aree più disagiate del pianeta Saranno messe all'asta le opere della personale di Marina Franci "Paparazzi Nhow"
dal 21 maggio al 7 giugno 2010 Marina Franci / Alessandra Raggi
a cura di Edoardo Di Mauro e Walter Vallini
PAPARAZZI NHOW
Marina Franci è una brava ed affermata fotografa milanese che fonda la sua poetica sulla capacità di abbinare lo spirito del reportage con la consapevolezza di fornircene una interpretazione ben distante dalla mera registrazione del fatto di cronaca ed intrisa invece della capacità tutta artistica di cogliere frammenti significativi di paesaggio od ambiente in grado di stupefarci ed ammaliarci. La Fusion Arts ha già avuto modo collaborare positivamente con l’artista nell’ambito di un progetto dedicato alle nuove architetture piemontesi allestito nella primavera del 2008 a Lisbona ed Oporto. La mostra allestita per l’occasione, dall’ironico titolo “Paparazzi Nhow”, documenta un recente allestimento di art design presso il milanese Salone Del Mobile che vede tra i protagonisti Walter Vallini condirettore artistico della Fusion Gallery, architetto e designer il cui eclettismo è da sempre teso alla ricerca di una armonica simbiosi tra progetto ed ispirazione creativa. Nelle immagini catturate dalla Franci tra gli stand tavoli, sedie, lampade assumono un rilievo polimorfico, donando la sensazione di essere oggetti rari e misteriosi in cui la funzione si abbina alla fruizione di un prodotto unico ed irripetibile. La funzionalità, tipica dell’aspetto razionale del design, si sposa all’intensità creativa ed alla poesia, a rifuggire dai limiti di una produzione seriale e standardizzata.
Edoardo Di Mauro
CUBETTISMO
Alessandra Raggi persegue da anni con coerenza una sperimentazione artistica dove convergono e si armonizzano contestualizzati nella dimensione presente spunti provenienti da alcune delle più significative linee di ricerca novecentesche. L’artista, animata da una tensione didattica nell’accezione della volontà di far partecipare la gente all’azione ed alla fruizione dell’evento, adotta quella che può essere definita una sorta di performance pittorica tra bi e tridimensione con una gestualità tendenzialmente aniconica e vicina, in taluni casi, alla poetica dell’informale e dell’espressionismo astratta e, in altri, sintonica con la tecnica del collage di matrice dadaista. Collante di queste esperienze è l’adozione di una forma simbolica e precisa come quella del cubo, solido geometrico che, secondo la tradizione della filosofia di ascendenza platonica, rappresentava il tramite perfetto tra il disordine naturale e la superiore dignità del mondo delle Idee. Come scrive Viana Conti in una recente presentazione “nel lavoro di Alessandra un cubo, montato su di una struttura aperta di plexiglas trasparente, rappresenta il versante razionale dell’opera, mentre la pelle cartacea della superficie pittorica, che lo avvolge attraverso un rituale di vestizione, rappresenta il versante sensoriale ed emozionale dell’artista”.
Edoardo Di Mauro
a cura di Edoardo Di Mauro e Walter Vallini
PAPARAZZI NHOW
Marina Franci è una brava ed affermata fotografa milanese che fonda la sua poetica sulla capacità di abbinare lo spirito del reportage con la consapevolezza di fornircene una interpretazione ben distante dalla mera registrazione del fatto di cronaca ed intrisa invece della capacità tutta artistica di cogliere frammenti significativi di paesaggio od ambiente in grado di stupefarci ed ammaliarci. La Fusion Arts ha già avuto modo collaborare positivamente con l’artista nell’ambito di un progetto dedicato alle nuove architetture piemontesi allestito nella primavera del 2008 a Lisbona ed Oporto. La mostra allestita per l’occasione, dall’ironico titolo “Paparazzi Nhow”, documenta un recente allestimento di art design presso il milanese Salone Del Mobile che vede tra i protagonisti Walter Vallini condirettore artistico della Fusion Gallery, architetto e designer il cui eclettismo è da sempre teso alla ricerca di una armonica simbiosi tra progetto ed ispirazione creativa. Nelle immagini catturate dalla Franci tra gli stand tavoli, sedie, lampade assumono un rilievo polimorfico, donando la sensazione di essere oggetti rari e misteriosi in cui la funzione si abbina alla fruizione di un prodotto unico ed irripetibile. La funzionalità, tipica dell’aspetto razionale del design, si sposa all’intensità creativa ed alla poesia, a rifuggire dai limiti di una produzione seriale e standardizzata.
Edoardo Di Mauro
CUBETTISMO
Alessandra Raggi persegue da anni con coerenza una sperimentazione artistica dove convergono e si armonizzano contestualizzati nella dimensione presente spunti provenienti da alcune delle più significative linee di ricerca novecentesche. L’artista, animata da una tensione didattica nell’accezione della volontà di far partecipare la gente all’azione ed alla fruizione dell’evento, adotta quella che può essere definita una sorta di performance pittorica tra bi e tridimensione con una gestualità tendenzialmente aniconica e vicina, in taluni casi, alla poetica dell’informale e dell’espressionismo astratta e, in altri, sintonica con la tecnica del collage di matrice dadaista. Collante di queste esperienze è l’adozione di una forma simbolica e precisa come quella del cubo, solido geometrico che, secondo la tradizione della filosofia di ascendenza platonica, rappresentava il tramite perfetto tra il disordine naturale e la superiore dignità del mondo delle Idee. Come scrive Viana Conti in una recente presentazione “nel lavoro di Alessandra un cubo, montato su di una struttura aperta di plexiglas trasparente, rappresenta il versante razionale dell’opera, mentre la pelle cartacea della superficie pittorica, che lo avvolge attraverso un rituale di vestizione, rappresenta il versante sensoriale ed emozionale dell’artista”.
Edoardo Di Mauro
dal 26 marzo al 18 maggio 2010 Marina Buratti / Cinzia Ceccarelli
a cura di Edoardo Di Mauro e Walter Vallini
a cura di Edoardo Di Mauro e Walter Vallini
dal 12 febbraio al 9 marzo 2010 Franco Ottavianelli / Luisa Valentini
a cura di Giorgio Bonomi, Edoardo Di Mauro e Walter Vallini
Franco Ottavianelli
Il tema della personale "Quadrature" di Franco Ottavianelli presso la Fusion Art Gallery si fonda sulla recente ricerca dell'artista romano, basata su una complessa e raffinata speculazione intellettuale attorno ad un tema polisemantico come quello della torre. In un gioco linguistico raffinato, tra alchimismo, enigma ermetico ed improvviso svelamento di sé al mondo Ottavianelli innalza la torre a simbolo esemplare del rapporto dell'uomo con i poli estremi dell'essere, tra cielo ed inferno, ascesi e dannazione come nella Commedia dantesca, nello Ziggurat mesopotamico o nella scala di Giacobbe, o anticipazione dell'umanità globalizzata e satura di comunicazione della torre di Babele. La sostanziale ambiguità etimologica di questo termine, come sottolineato in un testo di Paolo Thea, intitolato opportunamente "Avvitamenti terminologici", fa rinvenire analogie tra torre "tour" ed il verbo "tourner" con conseguente analogia verso il termine Situazionista "detourner" che simboleggiava lo stretto rapporto tra arte ed esistenza quotidiana vista anche come paesaggio urbano e "psicogeografia". Le torri sono ben presenti nell'orizzonte dell'oggi come lo furono in passato con una molteplicità di scopi e di funzioni, sempre mediane tra piano terreno e piano celeste con una proiezione dall'alto verso la base del quadrato magico e triangolare per le torri sufiche dei tarocchi. In questa installazione Franco Ottavianelli si concentrerà sul lavoro svolto con capillari indagini sul territorio ed i suoi segni, predisponendo fogli di carta da incisione calcografica innervate dall'uso di sostanze naturali e chiuse in teche di plexiglas, un'installazione a forma quadrata con specchi ed una torre sufica a base triangolare posta su di un piedistallo.
Edoardo Di Mauro
Luisa Valentini
Uno dei padri dell'arte contemporanea, Piet Mondrian, disse "Un pittore dipinge un albero non perché ha visto un albero, ma perché ha visto alberi dipinti da pittori". Questo per dire che ogni immagine o oggetto prodotto dall'arte ha una sua vita autonoma, legata al suo ambiente (l'arte) e non a quello cui appartiene il rappresentato (realtà fisica, natura).Così quando si vedono opere che non sono astratte ma che raffigurano elementi di realtà, non è giusto parlare di "realismo" o di "naturalismo" o usare altre simili denominazioni. Luisa Valentini pratica la scultura, realizzando elementi dall'aspetto "naturale" o imitativi gli oggetti conosciuti, per esempio i fiori, tra i quali soprattutto la rosa, vestiti od altro ancora, con materiali tipici della scultura contemporanea, dal ferro alle resine, e con una forte carica "concettuale".Il risultato è affascinante perché, da un lato, abbiamo la visione di un qualcosa immediatamente riconoscibile, che in arte è sempre un "pretesto", e, dall'altro, perché l'opera è costruita con i materiali più appropriati e più propri dell'artista, non già con quelli che renderebbero più facile l'imitazione. L'artista stessa dichiara che i suoi oggetti rimandano alla "femminilità", ma anche qui si tratta non dello stereotipo del femminile bensì di una "femminilità" forte che, nella differenza di genere, reclama la sua piena autonomia e afferma la sua sufficienza. Come fa sempre l'arte, quando è tale, anche l'opera di Valentini pone problemi, non li risolve, e dà, alla vista, una piacevole emozione mentre stimola le facoltà razionali alla riflessione.
Giorgio Bonomi
a cura di Giorgio Bonomi, Edoardo Di Mauro e Walter Vallini
Franco Ottavianelli
Il tema della personale "Quadrature" di Franco Ottavianelli presso la Fusion Art Gallery si fonda sulla recente ricerca dell'artista romano, basata su una complessa e raffinata speculazione intellettuale attorno ad un tema polisemantico come quello della torre. In un gioco linguistico raffinato, tra alchimismo, enigma ermetico ed improvviso svelamento di sé al mondo Ottavianelli innalza la torre a simbolo esemplare del rapporto dell'uomo con i poli estremi dell'essere, tra cielo ed inferno, ascesi e dannazione come nella Commedia dantesca, nello Ziggurat mesopotamico o nella scala di Giacobbe, o anticipazione dell'umanità globalizzata e satura di comunicazione della torre di Babele. La sostanziale ambiguità etimologica di questo termine, come sottolineato in un testo di Paolo Thea, intitolato opportunamente "Avvitamenti terminologici", fa rinvenire analogie tra torre "tour" ed il verbo "tourner" con conseguente analogia verso il termine Situazionista "detourner" che simboleggiava lo stretto rapporto tra arte ed esistenza quotidiana vista anche come paesaggio urbano e "psicogeografia". Le torri sono ben presenti nell'orizzonte dell'oggi come lo furono in passato con una molteplicità di scopi e di funzioni, sempre mediane tra piano terreno e piano celeste con una proiezione dall'alto verso la base del quadrato magico e triangolare per le torri sufiche dei tarocchi. In questa installazione Franco Ottavianelli si concentrerà sul lavoro svolto con capillari indagini sul territorio ed i suoi segni, predisponendo fogli di carta da incisione calcografica innervate dall'uso di sostanze naturali e chiuse in teche di plexiglas, un'installazione a forma quadrata con specchi ed una torre sufica a base triangolare posta su di un piedistallo.
Edoardo Di Mauro
Luisa Valentini
Uno dei padri dell'arte contemporanea, Piet Mondrian, disse "Un pittore dipinge un albero non perché ha visto un albero, ma perché ha visto alberi dipinti da pittori". Questo per dire che ogni immagine o oggetto prodotto dall'arte ha una sua vita autonoma, legata al suo ambiente (l'arte) e non a quello cui appartiene il rappresentato (realtà fisica, natura).Così quando si vedono opere che non sono astratte ma che raffigurano elementi di realtà, non è giusto parlare di "realismo" o di "naturalismo" o usare altre simili denominazioni. Luisa Valentini pratica la scultura, realizzando elementi dall'aspetto "naturale" o imitativi gli oggetti conosciuti, per esempio i fiori, tra i quali soprattutto la rosa, vestiti od altro ancora, con materiali tipici della scultura contemporanea, dal ferro alle resine, e con una forte carica "concettuale".Il risultato è affascinante perché, da un lato, abbiamo la visione di un qualcosa immediatamente riconoscibile, che in arte è sempre un "pretesto", e, dall'altro, perché l'opera è costruita con i materiali più appropriati e più propri dell'artista, non già con quelli che renderebbero più facile l'imitazione. L'artista stessa dichiara che i suoi oggetti rimandano alla "femminilità", ma anche qui si tratta non dello stereotipo del femminile bensì di una "femminilità" forte che, nella differenza di genere, reclama la sua piena autonomia e afferma la sua sufficienza. Come fa sempre l'arte, quando è tale, anche l'opera di Valentini pone problemi, non li risolve, e dà, alla vista, una piacevole emozione mentre stimola le facoltà razionali alla riflessione.
Giorgio Bonomi
dal 18 dicembre 2009 al 9 febbraio 2010 Gianantonio Abate / Gianfranco Sergio
a cura di Edoardo Di Mauro e Walter Vallini
“AVANZI”
Nel 1984, in piena fase di Transvanguardia trionfante, per un gruppo di artisti operanti nel nord Italia, soprattutto in Lombardia, radunati attorno alla galleria del talent scout Luciano Inga Pin, da poco scomparso, si conia un’etichetta intrigante, quella di Nuovo Futurismo. Questi giovani autori riscoprono la tradizione della grande avanguardia storica italiana collegandosi elettivamente alla sua seconda fase, quella rappresentata da Balla e Depero, impegnata nella costruzione di un’estetica di massa. Autori come Plumcake, Innocente, Marco Lodola ed altri impiegano innovativi materiali plastici ed altri repertori di contemporaneità avanzata per costruire opere trasgressive e ludiche intrise di un’ironica epica metropolitana. Gianantonio Abate, che parteciperà alla Biennale veneziana del 1990, si distingue sin dall’inizio come uno degli esponenti più originali del gruppo, i cui componenti ad un certo punto seguiranno strade personali non i tutti i casi mantenendo intatta la forza delle origini, ed i suoi lavori ad oggi nulla hanno perso quanto ad intensità espressiva e capacità di ricerca ed innovazione. Il titolo della personale alla Fusion Art Gallery è significativamente “Avanzi”. Usando le parole dell’artista “Avanzi, residui e campioni di immagini e di un immaginario visivo. Il banchetto è finito e sono rimasti solo scarti da ricolorare, ricomporre, rimontare e ricontestualizzare… Ogni immagine è un luogo in cui sostare a metà strada…… Nulla nelle opere nasce per vivere a lungo, e nulla muore definitivamente”. In effetti il lavoro di Abate, in particolare a partire dalla metà degli anni ’90, può essere definito quello di un lungimirante “raccoglitore di immagini” nella caotica ed invasiva società della tecnologia avanzata, per dirla con MacLuhan. Nella civiltà dell’eterno presente dove l’immagine ha sostituito il logos Abate cerca, istituendo nessi e connessioni tra le cose, di ristabilire una chiave possibile di lettura dell’esistente.
Edoardo Di Mauro
“ALLACCIARE LE CINTURE”
Anche nel caso di Gianfranco Sergio abbiamo la presenza di un artista il cui esordio è collocato negli ‘anni 80. Infatti all’inizio di quel decennio un giovanissimo Sergio esordisce presso la storica galleria genovese di Rinaldo Rotta. Autore eclettico ma estremamente coerente da un punto di vista formale ed anche riguardo una precisa etica del lavoro, Gianfranco Sergio conosce un esordio prevalentemente pittorico con lavori sintonici alla corrente dei Nuovi Nuovi teorizzata da Renato Barilli, opere caratterizzate da un’astrazione organicista a campitura larga, poi mutata in icone puntiniste dove vengono tratteggiate sintetiche sagome umane od animali. La fase immediatamente successiva, a metà degli anni ’90, dopo un periodo in cui l’interesse si era spostato verso una sorta di repertorio della memoria in cui l’artista interveniva e assemblava oggetti del suo vissuto personale, è caratterizzata da un interesse verso lo stereotipo oggettuale da cui trae origine l’aeroplano presente in mostra ed alla quale dà il titolo, una struttura metallica ad incastri regolari evocanti le forme di un aereo di pionieristica fattura, come a voler indicare la sofferta pratica artigianale che sta dietro anche alle invenzioni più ardite e rivoluzionarie. La rimanente parte della mostra presenta lavori di pittura che testimoniano efficacemente l’ultimo periodo dell’artista, sancito di recente da un’antologica presso gli spazi di San Pietro in Atrio a Como, sua città di residenza dopo il trasferimento dalla Calabria. Le tele sono dapprima composizioni aniconiche dove compaiono ritmiche serie di coni rovesciati, poi si sviluppano lungo il sentiero di una figurazione gioiosa e barocca, in cui cunei, vortici e spirali si avvitano con procedimento ipotattico per giungere alle ultime prove dove il ritmo visivo si attenua a favore di un più regolare inquadramento prospettico e la rappresentazione di interni dal sapore metafisico.
Edoardo Di Mauro
a cura di Edoardo Di Mauro e Walter Vallini
“AVANZI”
Nel 1984, in piena fase di Transvanguardia trionfante, per un gruppo di artisti operanti nel nord Italia, soprattutto in Lombardia, radunati attorno alla galleria del talent scout Luciano Inga Pin, da poco scomparso, si conia un’etichetta intrigante, quella di Nuovo Futurismo. Questi giovani autori riscoprono la tradizione della grande avanguardia storica italiana collegandosi elettivamente alla sua seconda fase, quella rappresentata da Balla e Depero, impegnata nella costruzione di un’estetica di massa. Autori come Plumcake, Innocente, Marco Lodola ed altri impiegano innovativi materiali plastici ed altri repertori di contemporaneità avanzata per costruire opere trasgressive e ludiche intrise di un’ironica epica metropolitana. Gianantonio Abate, che parteciperà alla Biennale veneziana del 1990, si distingue sin dall’inizio come uno degli esponenti più originali del gruppo, i cui componenti ad un certo punto seguiranno strade personali non i tutti i casi mantenendo intatta la forza delle origini, ed i suoi lavori ad oggi nulla hanno perso quanto ad intensità espressiva e capacità di ricerca ed innovazione. Il titolo della personale alla Fusion Art Gallery è significativamente “Avanzi”. Usando le parole dell’artista “Avanzi, residui e campioni di immagini e di un immaginario visivo. Il banchetto è finito e sono rimasti solo scarti da ricolorare, ricomporre, rimontare e ricontestualizzare… Ogni immagine è un luogo in cui sostare a metà strada…… Nulla nelle opere nasce per vivere a lungo, e nulla muore definitivamente”. In effetti il lavoro di Abate, in particolare a partire dalla metà degli anni ’90, può essere definito quello di un lungimirante “raccoglitore di immagini” nella caotica ed invasiva società della tecnologia avanzata, per dirla con MacLuhan. Nella civiltà dell’eterno presente dove l’immagine ha sostituito il logos Abate cerca, istituendo nessi e connessioni tra le cose, di ristabilire una chiave possibile di lettura dell’esistente.
Edoardo Di Mauro
“ALLACCIARE LE CINTURE”
Anche nel caso di Gianfranco Sergio abbiamo la presenza di un artista il cui esordio è collocato negli ‘anni 80. Infatti all’inizio di quel decennio un giovanissimo Sergio esordisce presso la storica galleria genovese di Rinaldo Rotta. Autore eclettico ma estremamente coerente da un punto di vista formale ed anche riguardo una precisa etica del lavoro, Gianfranco Sergio conosce un esordio prevalentemente pittorico con lavori sintonici alla corrente dei Nuovi Nuovi teorizzata da Renato Barilli, opere caratterizzate da un’astrazione organicista a campitura larga, poi mutata in icone puntiniste dove vengono tratteggiate sintetiche sagome umane od animali. La fase immediatamente successiva, a metà degli anni ’90, dopo un periodo in cui l’interesse si era spostato verso una sorta di repertorio della memoria in cui l’artista interveniva e assemblava oggetti del suo vissuto personale, è caratterizzata da un interesse verso lo stereotipo oggettuale da cui trae origine l’aeroplano presente in mostra ed alla quale dà il titolo, una struttura metallica ad incastri regolari evocanti le forme di un aereo di pionieristica fattura, come a voler indicare la sofferta pratica artigianale che sta dietro anche alle invenzioni più ardite e rivoluzionarie. La rimanente parte della mostra presenta lavori di pittura che testimoniano efficacemente l’ultimo periodo dell’artista, sancito di recente da un’antologica presso gli spazi di San Pietro in Atrio a Como, sua città di residenza dopo il trasferimento dalla Calabria. Le tele sono dapprima composizioni aniconiche dove compaiono ritmiche serie di coni rovesciati, poi si sviluppano lungo il sentiero di una figurazione gioiosa e barocca, in cui cunei, vortici e spirali si avvitano con procedimento ipotattico per giungere alle ultime prove dove il ritmo visivo si attenua a favore di un più regolare inquadramento prospettico e la rappresentazione di interni dal sapore metafisico.
Edoardo Di Mauro
dal 30 ottobre all'otto dicembre 2009 Disseminazione
a cura di Giorgio Bonomi, Edoardo Di Mauro e Walter Vallini
autori: Corrado Bonomi, Dadamaino, Marco Gastini, Giorgio Ghiffa, Ale Guzzetti, Ernesto Jannini, Luigi Mainolfi, Pino Pinelli, Valerio Tedeschi, Vittorio Valente
La “disseminazione” è una categoria usata, negli anni Settanta, dal filosofo Derrida relativamente al linguaggio e dal critico e teorico d’arte contemporanea Filiberto Menna per una mostra, piccola ma assai significativa. Noi abbiamo cercato, nel recente La disseminazione, Esplosione, frammentazione e dislocazione nell’arte contemporanea, ed. Rubbettino, di applicarla all’arte contemporanea: dai pezzetti di carta “disseminati” al suolo e poi ricomposti da Arp ai buchi disseminati sulla tela da Fontana, fino agli artisti più recenti.
Ora presentiamo una piccola selezione di artisti italiani di cui parliamo diffusamente nel libro: Dadamaino con i suoi segmenti sparsi sul poliestere; Griffa che, sulla tela senza telaio, lascia segni di colore; Gastini che spande materiali vari sul quadro o a terra; Paolini che, a terra o su superfici, disloca frammenti ; Pinelli che dissemina sul muro le sue forme di colore; e Mainolfi che aggrega frammenti di terracotta. Tutti quindi “disseminano” frammenti, di carta, di terracotta, di colore, di segni o di altri materiali ed esemplificano al meglio la nostra tesi.
Giorgio Bonomi
La Fusion Art Gallery ospita in quest’occasione un progetto del critico Giorgio Bonomi, di cui stimiamo serietà e coerenza. L’allestimento prende spunto da un suo saggio di recente pubblicazione di cui si farà ampia divulgazione in mostra ed in un successivo dibattito. Il concetto e la pratica della disseminazione, ampiamente analizzata da Bonomi nel libro che si avvale di un’introduzione di Bonito Oliva, pur rinvenendo precedenti nella storia dell’arte moderna, in particolare con il Manierismo e poi con la stagione barocca, del primo diretta erede, è una linea espressiva tipica della stagione contemporanea ; di quel periodo, cioè, in cui l’arte, complice l’irrompere della tecnologie legate all’elettricità, si libera dalle pastoie della bidimensione per invadere l’ambiente e lo spazio. Accanto a protagonisti ormai storicizzati dell’arte italiana come Dadamaino, Gastini, Griffa, Mainolfi, Paolini e Pinelli in mostra sarà possibile fruire del lavoro di alcuni dei più significativi autori della generazione emersa negli anni ’80 come Corrado Bonomi, Ale Guzzetti, Ernesto Jannini, Valerio Tedeschi e Vittorio Valente che, con uno sguardo rivolto all’estetica della contemporaneità ed ai simulacri del post moderno, si cimentano anch’essi in una disseminazione di segni e tracce del presente.
Edoardo Di Mauro
a cura di Giorgio Bonomi, Edoardo Di Mauro e Walter Vallini
autori: Corrado Bonomi, Dadamaino, Marco Gastini, Giorgio Ghiffa, Ale Guzzetti, Ernesto Jannini, Luigi Mainolfi, Pino Pinelli, Valerio Tedeschi, Vittorio Valente
La “disseminazione” è una categoria usata, negli anni Settanta, dal filosofo Derrida relativamente al linguaggio e dal critico e teorico d’arte contemporanea Filiberto Menna per una mostra, piccola ma assai significativa. Noi abbiamo cercato, nel recente La disseminazione, Esplosione, frammentazione e dislocazione nell’arte contemporanea, ed. Rubbettino, di applicarla all’arte contemporanea: dai pezzetti di carta “disseminati” al suolo e poi ricomposti da Arp ai buchi disseminati sulla tela da Fontana, fino agli artisti più recenti.
Ora presentiamo una piccola selezione di artisti italiani di cui parliamo diffusamente nel libro: Dadamaino con i suoi segmenti sparsi sul poliestere; Griffa che, sulla tela senza telaio, lascia segni di colore; Gastini che spande materiali vari sul quadro o a terra; Paolini che, a terra o su superfici, disloca frammenti ; Pinelli che dissemina sul muro le sue forme di colore; e Mainolfi che aggrega frammenti di terracotta. Tutti quindi “disseminano” frammenti, di carta, di terracotta, di colore, di segni o di altri materiali ed esemplificano al meglio la nostra tesi.
Giorgio Bonomi
La Fusion Art Gallery ospita in quest’occasione un progetto del critico Giorgio Bonomi, di cui stimiamo serietà e coerenza. L’allestimento prende spunto da un suo saggio di recente pubblicazione di cui si farà ampia divulgazione in mostra ed in un successivo dibattito. Il concetto e la pratica della disseminazione, ampiamente analizzata da Bonomi nel libro che si avvale di un’introduzione di Bonito Oliva, pur rinvenendo precedenti nella storia dell’arte moderna, in particolare con il Manierismo e poi con la stagione barocca, del primo diretta erede, è una linea espressiva tipica della stagione contemporanea ; di quel periodo, cioè, in cui l’arte, complice l’irrompere della tecnologie legate all’elettricità, si libera dalle pastoie della bidimensione per invadere l’ambiente e lo spazio. Accanto a protagonisti ormai storicizzati dell’arte italiana come Dadamaino, Gastini, Griffa, Mainolfi, Paolini e Pinelli in mostra sarà possibile fruire del lavoro di alcuni dei più significativi autori della generazione emersa negli anni ’80 come Corrado Bonomi, Ale Guzzetti, Ernesto Jannini, Valerio Tedeschi e Vittorio Valente che, con uno sguardo rivolto all’estetica della contemporaneità ed ai simulacri del post moderno, si cimentano anch’essi in una disseminazione di segni e tracce del presente.
Edoardo Di Mauro
ven 11 settembre 2009 International Help
autori: Corrado Alderucci, Giovanni Alibrandi, Marta Ampolo, Vincenzo Ampolo, Giancarlo Baraldo, Mauro Bouvet, Vincenzo Caricato, Luisella Carretta, Giulio Castagnoli, Marilena Cataldini, Maurizio Chatel, Gianni Colombo, Angelo Conto, Gianni Cossu, Giuseppe De Filippo, Paolo Durandetto, François Farellacci, Paolo Ferrante, Fabrizio Fontana, Giuseppe Gavazza, Claudio Guasti, Claudio Gulli, Ambra Lazzari, Chiara Massa, Simona Minniti, Ferruccio Musio, Marha Nieuwenhujis, Raffaele Niro, Alessandro Novazio, Sergio Pallante, Francesco Pasca, Reinoso Peicper, Flavio Portis, Agnesina Pozzi, Donato Prosdocimo, Rudi Punzo, Matteo Riparbelli, Beppe Ronco, Sara Scalco, Franco Torriani, Filippo Valente, Flavio Ventre, Salvatore Zito
Un'asta di beneficenza con opere poste in vendita a cifre assolutamente alla portata di tutti, il cui ricavato sarà interamente devoluto a supporto delle iniziative umanitarie di International Help.
autori: Corrado Alderucci, Giovanni Alibrandi, Marta Ampolo, Vincenzo Ampolo, Giancarlo Baraldo, Mauro Bouvet, Vincenzo Caricato, Luisella Carretta, Giulio Castagnoli, Marilena Cataldini, Maurizio Chatel, Gianni Colombo, Angelo Conto, Gianni Cossu, Giuseppe De Filippo, Paolo Durandetto, François Farellacci, Paolo Ferrante, Fabrizio Fontana, Giuseppe Gavazza, Claudio Guasti, Claudio Gulli, Ambra Lazzari, Chiara Massa, Simona Minniti, Ferruccio Musio, Marha Nieuwenhujis, Raffaele Niro, Alessandro Novazio, Sergio Pallante, Francesco Pasca, Reinoso Peicper, Flavio Portis, Agnesina Pozzi, Donato Prosdocimo, Rudi Punzo, Matteo Riparbelli, Beppe Ronco, Sara Scalco, Franco Torriani, Filippo Valente, Flavio Ventre, Salvatore Zito
Un'asta di beneficenza con opere poste in vendita a cifre assolutamente alla portata di tutti, il cui ricavato sarà interamente devoluto a supporto delle iniziative umanitarie di International Help.
dal 25 settembre al 27 ottobre 2009 Massimo Spada / Roberto Zizzo
a cura di Edoardo Di Mauro e Walter Vallini
Il progetto espositivo che il giovane artista pugliese residente a Torino Massimo Spada ha immaginato per la sua personale alla Fusion Art Gallery è un’ulteriore dimostrazione in merito alla forte consapevolezza che caratterizza la generazione emersa negli ultimi anni, in grado di proporsi con un eclettismo formale che non è superficiale maniera, come spesso accadeva negli anni Novanta, ma capacità di rapportarsi da un lato con la non facile eredità dell’avanguardia, dall’altro con la complessità del presente, in termini di confronto con la civiltà dell’immagine ma anche con un sistema dell’arte in cui è facile perdere i confini del proprio orizzonte. L’allestimento che Spada presenterà è complesso ed articolato, caratterizzato da un eclettismo che dimostra la padronanza di varie tecniche. Il titolo, non facilmente riproducibile in scrittura, consiste in un’ inversione speculare del termine GOD, e ben simboleggia il tema della mostra, centrato sulla contrapposizione tra i due poli estremi dell’essere, tra cielo ed inferno, ascesi e dannazione. Questo tema, che dimostra la tensione spirituale che, ad onta delle apparenze, caratterizza la nostra esistenza si sviluppa con dipinti, fotografie ed installazioni dove, per usare parole dell’artista, “le opere focalizzano il concetto di energia. Corrente frazionata, cortocircuiti, collisioni, attivano un fluire di energie positive e negative che si avvicendano, si incontrano, si sostituiscono”.
Edoardo Di Mauro
Il titolo della mostra di Roberto Zizzo, giunto alla sua seconda personale alla Fusion Art Gallery, “Carne Umana”, non deve ingannare e far immaginare scenari truculenti o splatter. L’immediatezza disarmante dell’enunciato è invece un sintomo dell’attitudine dell’artista allo spiazzamento costante del fruitore. La produzione artistica di Zizzo, negli ultimi anni, al di là delle varianti iconiche e formali, si è sempre contraddistinta, come ho già avuto modo di sottolineare, per una dissacrante ironia posta sull’obliquo confine tra dimensione noetica e materialità estrema. Le opere dell’artista genovese lanciano una sfida sia nei confronti del manierismo concettuale “politicamente corretto” che del sensazionalismo scontato e prevedibile. Zizzo adopera gli scarti del vissuto quotidiano, penetra anfratti poco visitati per ricontestualizzarli nella dimensione dell’opera. Questo è avvenuto nel recente passato con le sue manipolazioni digitali di immagini pescate nel sottobosco di internet e di icone della storia dell’arte, con le sagome umane a metà tra simbologia ancestrale e surrealtà, con le immagini di tazze di wc intarsiate di reperti fecali riprodotte con modalità tali da ingannare, ad una superficiale visione, lo spettatore. La corporalità, il rapporto del singolo con il mondo esterno, oltre ad essere sue costanti poetiche, costituiscono il tema della personale. In questa saranno allestiti in prevalenza “autoritratti” caratterizzati da un secco e sintetico espressionismo e realizzati con un assemblaggio di varie tipologie di carne, manipolate ed “umanizzate” per l’occasione.
Edoardo Di Mauro
a cura di Edoardo Di Mauro e Walter Vallini
Il progetto espositivo che il giovane artista pugliese residente a Torino Massimo Spada ha immaginato per la sua personale alla Fusion Art Gallery è un’ulteriore dimostrazione in merito alla forte consapevolezza che caratterizza la generazione emersa negli ultimi anni, in grado di proporsi con un eclettismo formale che non è superficiale maniera, come spesso accadeva negli anni Novanta, ma capacità di rapportarsi da un lato con la non facile eredità dell’avanguardia, dall’altro con la complessità del presente, in termini di confronto con la civiltà dell’immagine ma anche con un sistema dell’arte in cui è facile perdere i confini del proprio orizzonte. L’allestimento che Spada presenterà è complesso ed articolato, caratterizzato da un eclettismo che dimostra la padronanza di varie tecniche. Il titolo, non facilmente riproducibile in scrittura, consiste in un’ inversione speculare del termine GOD, e ben simboleggia il tema della mostra, centrato sulla contrapposizione tra i due poli estremi dell’essere, tra cielo ed inferno, ascesi e dannazione. Questo tema, che dimostra la tensione spirituale che, ad onta delle apparenze, caratterizza la nostra esistenza si sviluppa con dipinti, fotografie ed installazioni dove, per usare parole dell’artista, “le opere focalizzano il concetto di energia. Corrente frazionata, cortocircuiti, collisioni, attivano un fluire di energie positive e negative che si avvicendano, si incontrano, si sostituiscono”.
Edoardo Di Mauro
Il titolo della mostra di Roberto Zizzo, giunto alla sua seconda personale alla Fusion Art Gallery, “Carne Umana”, non deve ingannare e far immaginare scenari truculenti o splatter. L’immediatezza disarmante dell’enunciato è invece un sintomo dell’attitudine dell’artista allo spiazzamento costante del fruitore. La produzione artistica di Zizzo, negli ultimi anni, al di là delle varianti iconiche e formali, si è sempre contraddistinta, come ho già avuto modo di sottolineare, per una dissacrante ironia posta sull’obliquo confine tra dimensione noetica e materialità estrema. Le opere dell’artista genovese lanciano una sfida sia nei confronti del manierismo concettuale “politicamente corretto” che del sensazionalismo scontato e prevedibile. Zizzo adopera gli scarti del vissuto quotidiano, penetra anfratti poco visitati per ricontestualizzarli nella dimensione dell’opera. Questo è avvenuto nel recente passato con le sue manipolazioni digitali di immagini pescate nel sottobosco di internet e di icone della storia dell’arte, con le sagome umane a metà tra simbologia ancestrale e surrealtà, con le immagini di tazze di wc intarsiate di reperti fecali riprodotte con modalità tali da ingannare, ad una superficiale visione, lo spettatore. La corporalità, il rapporto del singolo con il mondo esterno, oltre ad essere sue costanti poetiche, costituiscono il tema della personale. In questa saranno allestiti in prevalenza “autoritratti” caratterizzati da un secco e sintetico espressionismo e realizzati con un assemblaggio di varie tipologie di carne, manipolate ed “umanizzate” per l’occasione.
Edoardo Di Mauro
dal 24 aprile al 15 giugno 2009 Paolo Minioni / Natale Zoppis
a cura di Edoardo Di Mauro e Walter Vallini
Paolo Minioni (Verbania 1965) ha allestito personali presso le gallerie VSV e Modena 55 di Torino, alla Fondazione Italiana di Fotografia ed al Brunitoio di Ghiffa (Vb). Ha partecipato a due edizioni della BAM – Biennale d’Arte Moderna e Contemporanea del Piemonte.
Natale Zoppis (Verbania 1952) espone dal 1983 e vanta un importante curriculum dove, in sintesi, si citano le personali alla galleria Diaframma di Milano, da Artifex e Forma Libera a Torino, Foro Boario a Modena, Fondazione Studio Marangoni a Firenze. Tra le molte collettive presenze alla Fondazione Peggy Gugguenheim di Venezia ed alla Fondazione Sandretto a Guarene. Sue opere compaiono nelle collezioni, tra le altre, della Bibliotèque National di Parigi, della International Polaroid Collection, della Galleria Civica di Modena, della Fondazione Sandretto Re Rebaudengo, del Museo di Fotografia Contemporanea di Cinisello Balsamo.
La fotografia, nell’ultimo trentennio, si è avvalsa della disinibizione formale cifra stilistica del postmoderno per riversarsi massiccia nel panorama eclettico della contemporaneità privilegiando la funzione piuttosto che l’oggetto e diventando, negli anni ’80 ma ancora di più nel decennio successivo e fino ai giorni nostri, la dimensione narrativa maggioritaria, in compagnia di quello che è stato il suo secondo derivato tecnologico dopo il cinema, il video. L’atteggiamento si è manifestato nella duplice accezione di una partecipazione “fredda”, tendente a privilegiare una classificazione impersonale ed asettica dell’esistente e della banalità quotidiana, ed un’altra dimensione “calda”, “psicologica”, in cui gli artisti hanno adoperato il mezzo come estensione del proprio io, per calarsi nel reale con atteggiamento di affettuosa partecipazione. Paolo Minioni adopera il mezzo fotografico in una dimensione mediana tra l’analisi concettuale e la narrazione di spazi ed ambienti intimi e domestici, quindi avvalendosi, mantenendo uno stile coerente e riconoscibile, di entrambe le possibilità. L’installazione presso la Fusion Art Gallery privilegia il primo ambito e consiste in due serie di lavori poste frontalmente l’una all’altra. Da un lato avremo dodici immagini in bianco e nero raffiguranti un elemento ricorrente della poetica di Minioni, il vaso, contenitore dalla forte valenza simbolica. Nella serie degli “Still life” l’artista rivolgeva l’attenzione sull’alternarsi dei cicli vitali della natura, in questo caso il vaso è inquadrato nella sua nudità emblematica di oggetto in cerca di autore. Nella parete opposta altre tre immagini in bianco e nero cercano di colmare questa mancanza. Si tratta di tre enormi cumuli di terra di recupero rappresentati nella loro immanente dimensione di natura artefatta, sorta di montagne generatesi per effetto umano, sedimenti dalla notevole potenza espressiva.
Edoardo Di Mauro
Lungo il corso del Novecento tra fotografia e pittura prende corpo quello che alcuni teorici definirono un vero e proprio “combattimento per un’immagine”. In realtà solo in parte la fotografia è stata un prolungamento della pittura con altri mezzi essendo essa dotata di uno statuto linguistico proprio e di un diverso livello referenziale nella rappresentazione della realtà apparentabile semmai alle modalità “extra –artistiche” in voga tra gli anni ’50 e ’70 del secolo scorso, con la fuga dell’arte dal tradizionale alveo bidimensionale tipico della pittura in direzione di una volontà di contaminazione con l’ambiente esterno inteso come piena omologia con il mondo per perseguire un’esperienza estetica e sensoriale totalizzante, dove anche il corpo umano con la body art si imponeva come autonomo ed autoreferenziale strumento di poetica e di narrazione. Caratteristiche, quelle prima descritte, che si abbinano assai armonicamente al lavoro di Natale Zoppis. L’artista è infatti da anni impegnato in una rigorosa e coerente ricerca attorno alla fotografia vista non come reportage o visione in presa diretta del reale, ma come pratica concettuale ed analisi sui suoi meccanismi costitutivi e sulla possibilità di dialogo con altri linguaggi, come testimoniato dall’uso di uno strumento atto a svelare la materia concreta della fotografia come la polaroid. L’immagine per Zoppis è concepita nella sua valenza di ricettrice e stratificatrice di memoria, per la sua capacità di serbare il ricordo di esperienze passate e giacenti nell’oblio ma improvvisamente in grado di riconnettersi al “qui ed ora”. Centrale anche l’ attenzione nei confronti del linguaggio del corpo, suo e di altri, esaltato in una sorta di mistica e di attrazione nei confronti della religiosità popolare, in particolare quella degli “ex voto” che, considerati oggetti alieni dall’arte ufficiale, sono in realtà forme di sublimazione simbolica del mondo e dell’esperienza. In mostra alla Fusion Art Gallery una serie fotografica in bianco e nero rappresentante dodici piedi, in cornici realizzate con materiali di recupero, con alla base catino ed asciugatoio, chiara citazione evangelica, e “reliquiari”, polaroid di ritratti a tecnica mista custoditi dentro teche di legno naturale.
Edoardo Di Mauro
a cura di Edoardo Di Mauro e Walter Vallini
Paolo Minioni (Verbania 1965) ha allestito personali presso le gallerie VSV e Modena 55 di Torino, alla Fondazione Italiana di Fotografia ed al Brunitoio di Ghiffa (Vb). Ha partecipato a due edizioni della BAM – Biennale d’Arte Moderna e Contemporanea del Piemonte.
Natale Zoppis (Verbania 1952) espone dal 1983 e vanta un importante curriculum dove, in sintesi, si citano le personali alla galleria Diaframma di Milano, da Artifex e Forma Libera a Torino, Foro Boario a Modena, Fondazione Studio Marangoni a Firenze. Tra le molte collettive presenze alla Fondazione Peggy Gugguenheim di Venezia ed alla Fondazione Sandretto a Guarene. Sue opere compaiono nelle collezioni, tra le altre, della Bibliotèque National di Parigi, della International Polaroid Collection, della Galleria Civica di Modena, della Fondazione Sandretto Re Rebaudengo, del Museo di Fotografia Contemporanea di Cinisello Balsamo.
La fotografia, nell’ultimo trentennio, si è avvalsa della disinibizione formale cifra stilistica del postmoderno per riversarsi massiccia nel panorama eclettico della contemporaneità privilegiando la funzione piuttosto che l’oggetto e diventando, negli anni ’80 ma ancora di più nel decennio successivo e fino ai giorni nostri, la dimensione narrativa maggioritaria, in compagnia di quello che è stato il suo secondo derivato tecnologico dopo il cinema, il video. L’atteggiamento si è manifestato nella duplice accezione di una partecipazione “fredda”, tendente a privilegiare una classificazione impersonale ed asettica dell’esistente e della banalità quotidiana, ed un’altra dimensione “calda”, “psicologica”, in cui gli artisti hanno adoperato il mezzo come estensione del proprio io, per calarsi nel reale con atteggiamento di affettuosa partecipazione. Paolo Minioni adopera il mezzo fotografico in una dimensione mediana tra l’analisi concettuale e la narrazione di spazi ed ambienti intimi e domestici, quindi avvalendosi, mantenendo uno stile coerente e riconoscibile, di entrambe le possibilità. L’installazione presso la Fusion Art Gallery privilegia il primo ambito e consiste in due serie di lavori poste frontalmente l’una all’altra. Da un lato avremo dodici immagini in bianco e nero raffiguranti un elemento ricorrente della poetica di Minioni, il vaso, contenitore dalla forte valenza simbolica. Nella serie degli “Still life” l’artista rivolgeva l’attenzione sull’alternarsi dei cicli vitali della natura, in questo caso il vaso è inquadrato nella sua nudità emblematica di oggetto in cerca di autore. Nella parete opposta altre tre immagini in bianco e nero cercano di colmare questa mancanza. Si tratta di tre enormi cumuli di terra di recupero rappresentati nella loro immanente dimensione di natura artefatta, sorta di montagne generatesi per effetto umano, sedimenti dalla notevole potenza espressiva.
Edoardo Di Mauro
Lungo il corso del Novecento tra fotografia e pittura prende corpo quello che alcuni teorici definirono un vero e proprio “combattimento per un’immagine”. In realtà solo in parte la fotografia è stata un prolungamento della pittura con altri mezzi essendo essa dotata di uno statuto linguistico proprio e di un diverso livello referenziale nella rappresentazione della realtà apparentabile semmai alle modalità “extra –artistiche” in voga tra gli anni ’50 e ’70 del secolo scorso, con la fuga dell’arte dal tradizionale alveo bidimensionale tipico della pittura in direzione di una volontà di contaminazione con l’ambiente esterno inteso come piena omologia con il mondo per perseguire un’esperienza estetica e sensoriale totalizzante, dove anche il corpo umano con la body art si imponeva come autonomo ed autoreferenziale strumento di poetica e di narrazione. Caratteristiche, quelle prima descritte, che si abbinano assai armonicamente al lavoro di Natale Zoppis. L’artista è infatti da anni impegnato in una rigorosa e coerente ricerca attorno alla fotografia vista non come reportage o visione in presa diretta del reale, ma come pratica concettuale ed analisi sui suoi meccanismi costitutivi e sulla possibilità di dialogo con altri linguaggi, come testimoniato dall’uso di uno strumento atto a svelare la materia concreta della fotografia come la polaroid. L’immagine per Zoppis è concepita nella sua valenza di ricettrice e stratificatrice di memoria, per la sua capacità di serbare il ricordo di esperienze passate e giacenti nell’oblio ma improvvisamente in grado di riconnettersi al “qui ed ora”. Centrale anche l’ attenzione nei confronti del linguaggio del corpo, suo e di altri, esaltato in una sorta di mistica e di attrazione nei confronti della religiosità popolare, in particolare quella degli “ex voto” che, considerati oggetti alieni dall’arte ufficiale, sono in realtà forme di sublimazione simbolica del mondo e dell’esperienza. In mostra alla Fusion Art Gallery una serie fotografica in bianco e nero rappresentante dodici piedi, in cornici realizzate con materiali di recupero, con alla base catino ed asciugatoio, chiara citazione evangelica, e “reliquiari”, polaroid di ritratti a tecnica mista custoditi dentro teche di legno naturale.
Edoardo Di Mauro
dal 6 febbraio al 31 marzo 2009 Domenico David / Giordano Montorsi
a cura di Edoardo Di Mauro e Walter Vallini
Domenico David, di cui non posso non ricordare con compiaciuta nostalgia la personale che, l’ormai lontano 12 marzo 1984, inaugurò la storica galleria VSV di Torino, è sempre stato fedele al dettato pittorico, da lui interpretato con modalità originali ed aliene dalla tentazione di schierarsi contiguamente alle mode del momento. La pittura di David è adeguatamente supportata da una notevole capacità tecnica, mai usata come elemento di compiaciuto virtuosismo. Le sue opere sono sempre state caratterizzate da un tratto aereo, agile e fresco, e le forme contraddistinte, salvo alcune eccezioni, da un andamento ellittico e curvoidale, sinonimo di adesione piena al dettato della contemporaneità. Una contemporaneità che, da un punto di vista iconografico, per David non ha mai significato appiattimento sul reale, ma è stata costantemente sinonimo di evocazione. Se vogliamo rinvenire un dato di ispirazione ed un conseguente richiamo elettivo questo va individuato nella grande tradizione della pittura italiana del Novecento, relativamente alla Metafisica ed al Realismo Magico. I lavori ultimi, che hanno conosciuto una grande fortuna, sono paesaggi notturni dove compaiono edifici regolari ed anonimi in cui la dimensione temporale si proietta verso il dato dell’indeterminazione e del sogno, in cui il nero del cielo assume una carica emotiva e spaziale di assoluta immanenza, ed è attraversato da lampi di luce assoluta, resa con la forza emotiva del colore, in un insieme di invidiabile equilibrio formale che evidenzia la piena maturità raggiunta dal lavoro dell’artista, che si pone senza dubbio al centro della scena pittorica italiana da autentico protagonista.
Edoardo Di Mauro
Giordano Montorsi, nato nel 1951, artista noto ed apprezzato ed in possesso di un ricco curriculum di presenze in spazi pubblici e privati, è un esponente significativo di quella che ho definito, in varie operazioni critiche, la “generazione di mezzo” nata tra il ’45 ed il ’55 che si è distinta per la sua capacità di essere coerente con il clima culturale degli anni della formazione ma, di pari, sintonizzarsi con l’evoluzione dei percorsi artistici e dialogare in modo fecondo con le più giovani generazioni. Le sue tele, spesso caratterizzate dalla teatralità barocca della grande dimensione, anche se non sconfinano nell’environment, sono pervase da una pittura di matrice aniconica in cui la figura fa costantemente capolino come emblematica epifania, ombra che trapela tra le pieghe del colore in veste animale, umana, o come porzione di paesaggio, lasciando magicamente ipnotizzato il fruitore. Nelle opere di questi anni Montorsi ha reso sempre più evidente la sua abilità nell’effettuare dei veri e propri corto circuiti storici e linguistici, ricontestualizzando nella dimensione presente spunti e suggestioni provenienti da culture extra europee con la tradizione delle avanguardie storiche, abbinandole alla capacità di penetrare la dimensione del territorio e di una quotidianità solo in apparenza marginale. Si va dalle installazioni che sfidano apertamente il design sul tuo stesso terreno ottenendo una meritata affermazione, agli assemblaggi oggettuali in cui l’artista pare volere approdare ad una sorta di catalogazione ed inventario universale vincendo in questo caso la difficile sfida con la poetica dell’ “object trouvè, ad una pittura, oggetto di questa personale, in cui prevale una nitida e rigorosa dimensione segnica.
Edoardo Di Mauro
a cura di Edoardo Di Mauro e Walter Vallini
Domenico David, di cui non posso non ricordare con compiaciuta nostalgia la personale che, l’ormai lontano 12 marzo 1984, inaugurò la storica galleria VSV di Torino, è sempre stato fedele al dettato pittorico, da lui interpretato con modalità originali ed aliene dalla tentazione di schierarsi contiguamente alle mode del momento. La pittura di David è adeguatamente supportata da una notevole capacità tecnica, mai usata come elemento di compiaciuto virtuosismo. Le sue opere sono sempre state caratterizzate da un tratto aereo, agile e fresco, e le forme contraddistinte, salvo alcune eccezioni, da un andamento ellittico e curvoidale, sinonimo di adesione piena al dettato della contemporaneità. Una contemporaneità che, da un punto di vista iconografico, per David non ha mai significato appiattimento sul reale, ma è stata costantemente sinonimo di evocazione. Se vogliamo rinvenire un dato di ispirazione ed un conseguente richiamo elettivo questo va individuato nella grande tradizione della pittura italiana del Novecento, relativamente alla Metafisica ed al Realismo Magico. I lavori ultimi, che hanno conosciuto una grande fortuna, sono paesaggi notturni dove compaiono edifici regolari ed anonimi in cui la dimensione temporale si proietta verso il dato dell’indeterminazione e del sogno, in cui il nero del cielo assume una carica emotiva e spaziale di assoluta immanenza, ed è attraversato da lampi di luce assoluta, resa con la forza emotiva del colore, in un insieme di invidiabile equilibrio formale che evidenzia la piena maturità raggiunta dal lavoro dell’artista, che si pone senza dubbio al centro della scena pittorica italiana da autentico protagonista.
Edoardo Di Mauro
Giordano Montorsi, nato nel 1951, artista noto ed apprezzato ed in possesso di un ricco curriculum di presenze in spazi pubblici e privati, è un esponente significativo di quella che ho definito, in varie operazioni critiche, la “generazione di mezzo” nata tra il ’45 ed il ’55 che si è distinta per la sua capacità di essere coerente con il clima culturale degli anni della formazione ma, di pari, sintonizzarsi con l’evoluzione dei percorsi artistici e dialogare in modo fecondo con le più giovani generazioni. Le sue tele, spesso caratterizzate dalla teatralità barocca della grande dimensione, anche se non sconfinano nell’environment, sono pervase da una pittura di matrice aniconica in cui la figura fa costantemente capolino come emblematica epifania, ombra che trapela tra le pieghe del colore in veste animale, umana, o come porzione di paesaggio, lasciando magicamente ipnotizzato il fruitore. Nelle opere di questi anni Montorsi ha reso sempre più evidente la sua abilità nell’effettuare dei veri e propri corto circuiti storici e linguistici, ricontestualizzando nella dimensione presente spunti e suggestioni provenienti da culture extra europee con la tradizione delle avanguardie storiche, abbinandole alla capacità di penetrare la dimensione del territorio e di una quotidianità solo in apparenza marginale. Si va dalle installazioni che sfidano apertamente il design sul tuo stesso terreno ottenendo una meritata affermazione, agli assemblaggi oggettuali in cui l’artista pare volere approdare ad una sorta di catalogazione ed inventario universale vincendo in questo caso la difficile sfida con la poetica dell’ “object trouvè, ad una pittura, oggetto di questa personale, in cui prevale una nitida e rigorosa dimensione segnica.
Edoardo Di Mauro
dal 16 dicembre 2008 al 3 febbraio 2009 - Interni Italiani 6
a cura di Edoardo Di Mauro e Walter Vallini
Quando, nei primi mesi del 2001, venne elaborato il progetto di “Interni Italiani”, l’intento degli ideatori, tutti provenienti da varie esperienze nell’ambito della creatività, era quello di produrre un evento in grado di sintetizzare il concetto di “arte” italiana in una accezione semantica il più ampia possibile che, partendo in prima istanza da un confronto tra gli specifici dell’arte visiva e del design, potesse in seguito estendersi anche ad altre discipline, rimarcando sempre le relazioni ed i punti di tangenza. “Interni Italiani” è quindi, per sua natura, un progetto duttile, aperto alle contaminazioni, realizzabile su scala più ristretta, ma sempre aperta ed interessante, nel rispetto della logistica e dei budget a disposizione, ed al pari pronto, qualora le circostanze lo permettano, ad espandersi nella dimensione tipica del grande evento. Dopo la prima edizione svoltasi presso la Sociedade Nacional des Belas Artes di Lisbona nel mese di aprile 2002, e la seconda nel periodo ottobre-novembre 2002 a Praga, presso la Cappella San Borromeo, affascinante sede espositiva annessa al locale Istituto Italiano di Cultura, “Interni Italiani” ha proseguito il suo percorso europeo approdando in un centro di grande rilevanza culturale come Berlino, presso la Kunsthaus Tacheles, e, successivamente, a Copenhagen, quarta puntata dell’evento, decisamente la più ampia ed articolata, suddivisa in tre manifestazioni da novembre 2004 a luglio 2005. Nel 2006, nuovamente a Lisbona, si è tenuta la quinta edizione dal titolo “Oggetti Luminosi & Dialoghi incrociati”. Con la sesta edizione “Interni Italiani” ritorna nel suolo luogo d’origine, pronta a ripartire aggiornata non appena si manifesteranno le condizioni.
L’ intento di “Interni Italiani” è duplice. Come recita infatti il testo introduttivo di Edoardo Di Mauro nel catalogo : “ … da un lato la valorizzazione della creatività italiana all’estero nelle non frequenti occasioni in cui, specie per le più recenti generazioni, questo si verifica, dall’altro la possibilità di compiere un’analisi del rapporto attualmente intercorrente tra l’ambito delle arti visive tradizionalmente inteso e, quello, per molti aspetti collegato, pur nella diversità dell’approccio mentale, del design e, a margine, dell’intero universo delle cosiddette “arti applicate”. Un approccio generato dalla medesima nascita in seno all’estesa categoria dell’artigianato, della “technè” inteso, nell’etimologia antica del termine, come concretizzazione oggettiva dei procedimenti mentali, connubio tra cultura “alta”, ideale e simbolica, e sua applicazione materiale, sinergia a lungo ignorata, ma ormai pienamente compresa nel clima della post modernità, dove ci troviamo a vivere e ad operare”.
“Interni Italiani” vuole essere, come già prima citato, rassegna duttile, aperta ai cambiamenti e, data la sua natura, intende proseguire il suo cammino, all’estero ed in Italia, ancora per alcuni anni.
Dopo la felice esperienza berlinese, coronamento del primo ciclo di mostre, che ci hanno permesso di saggiare tangibilmente la bontà del progetto, abbiamo progettato una seconda fase, impostata secondo i parametri di partenza, ma ulteriormente allargata a comprendere altri ambiti di creatività applicata quali la moda, la comunicazione interattiva e multimediale, l’enogastronomia.
La selezione dedicata alle arti visive è stata sempre indirizzata nei confronti di quelle esperienze, dal secondo dopoguerra ai giorni nostri, con una predilezione partecipe nei confronti dell’ultima generazione, quella più bisognosa di promozione internazionale, caratterizzate da un’attenzione nei confronti dell’oggetto, da un punto di vista sia concettuale che installativo, e dei nuovi materiali plastici e ritrovati tecnologici, adottando nei confronti del termine “interno” un atteggiamento tendente ad esaltarne il significato polisemantico, variante tra l’abbraccio e l’interazione tra “res cogitans” e “res extensa” e, all’opposto, il rifugiarsi “assente” in uno spazio riposto ed appartato in cui si dispiega la tensione interiore del singolo artefice.
Il primo ambito ad essere preso in esame è sempre comunque il design, dove è più evidente il debito – credito esistente col campo, spesso collimante ai limiti dell’omologia, dell’arte visiva.
Un percorso che fa del rapporto con la società dei fruitori, che si vuole sempre più allargata, la sua ragion d’essere. Dall’intuizione di Walter Benjamin sull’ “opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica”, alle utopie del “Bauhaus immaginista” nell’avanguardia artistica, fino al mixed – media del New Dada e del Nuovo Realismo ed all’uso di nuovi materiali e dell’oggetto nella sua nudità “secondaria” della Pop Art internazionale, che conobbe sviluppi estremamente interessanti proprio in Italia. Per giungere alle esperienze della post modernità, che con vari spunti, digressioni, fughe in avanti e repentini balzi all’indietro caratterizzano le vicende degli ultimi venticinque anni. Negli anni’80, in Italia, assistiamo ad un rapporto dell’arte con le nuove tecnologie ed i feticci mediali che iniziano a dilagare sempre più invasivamente nel territorio urbano. In un clima post ideologico e di rivalutazione dell’individualismo e degli aspetti esteticamente godibili dell’esistenza gli artisti adottano un nuovo oggettivismo come criterio di osservazione dell’universo sociale, mentre i designers, compresi numerosi esponenti già storicizzati, paiono rincorrerli e, talvolta, superarli, nell’adozione di coefficienti sempre più alti di decorazione e di inventività nella produzione di oggetti che tendonio a perdere il loro specifico di funzionalismo seriale per penetrare nel territorio auratico dell’irripetibilità. Nel decennio successivo verifichiamo una volontaria regressione dell’arte nei territori della smaterializzazione concettuale, dove gli oggetti, pur sempre presenti, vengono scomposti nella loro primarietà, per disvelarne i meccanismi di produzione mentale e dove il design riscopre il minimalismo progettuale e l’importanza della funzione pratica. Nei primi anni di questo nuovo millennio le carte si rimescolano nuovamente, riavvicinando, per taluni aspetti ed in presenza di quello che è un’enorme ampliamento dell’offerta creativa a tutti i livelli, le arti ad un clima simile a quello degli anni ’80, con gli artisti intenti ad esplorare la dimensione ludica ed innocente del gioco e dell’immaginario infantile e quella di una rinnovata dimensione artigianale del fare artistico, ispirazioni che paiono trovare precisa rispondenza nei territori delle creatività applicate.
Questi intenti programmatici si sono concretizzati al meglio con l’edizione di Copenhagen, realizzata in stretta collaborazione con la direttrice dell’Istituto Angela Trezza, che ebbe a suo tempo occasione di saggiare la bontà della nostra proposta quando ricopriva analogo ruolo a Praga, e grazie al prezioso contributo della Regione Piemonte e di una serie di sponsor privati.
La rassegna danese si è estesa temporalmente nell’arco di ben otto mesi comprendendo, oltre all’arte contemporanea ed al design oggetto delle precedenti edizioni, la sartoria d’autore, la videoarte e l’enogastronomia, quest’ultima con la degustazione di prodotti tipici piemontesi nell’ambito delle tre serate inaugurali.
La prima mostra , è stata curata da Walter Vallini con il titolo “Oggetti luminosi & dialoghi incrociati”. Motivo dell’allestimento l’interpretazione, da parte degli artisti e dei designer invitati, del tema della luce, fisicamente presente ed empaticamente sentito nei paesi nordici. Hanno esposto : Emiliano Cavalli, Design & Art Workshop, Luciano Gaglio, Carlo Giuliano, Gumdesign, Ale Guzzetti, Raffaele Iannello, Lucifero, Simone Micheli, Walter Vallini & Vittorio Valente.
La seconda, “Atelier Torino : il ritorno della sartoria d’autore”, a cura di Walter Dang, e, il 2 giugno 2005, la rassegna di arte contemporanea “Novarum” a cura di Edoardo Di Mauro, con la partecipazione di Luciano Gaglio, Vittorio Valente, Manuela Corti, Ernesto Jannini, Ale Guzzetti, Plumcake, Fathi Hassan, Ferruccio D’Angelo, Matilde Domestico, Tea Giobbio, Carmine Calvanese, Roberto Zizzo . Il video di Gianluca Rosso “L’idea è sublime e lontana” ha svolto il compito di fungere da ideale colonna sonora dell’intera manifestazione.
Nell’ottobre 2006 si è svolta la quinta edizione, nella sede espositiva dell’ICSTE Facoltà di Architettura dell’Università di Lisbona, dove è stata allestita una versione ampliata di “Oggetti luminosi & dialoghi incrociati” già vista a Copenhagen. Con l’Istituto Italiano di Cultura di Lisbona si è instaurato un rapporto estremamente positivo come testimonia un’altra rassegna ideata dalla Fusion Arts e dedicata ad una analisi del nuovo paesaggio architettonico ed ambientale del Piemonte, divulgato attraverso gli scatti ed i video di significativi autori impegnati nell’ambito della nuova immagine che , con il titolo “5 + 5” ha riscosso ad aprile e maggio 2008 un notevole consenso nelle sedi di Lisbona e di Porto.
“Interni Italiani 6” vuol essere un efficace compendio dei temi sviluppati nelle precedenti edizioni con l’inedita presenza di autori importanti come Ettore Sottsass, Ito Fukushi, e Claudio Silvestrin e due sedi espositive, lo show room di OperArt e la Fusion Art Gallery.
Questa puntata torinese è innanzitutto in sintonia con lo spirito che ha caratterizzato “Torino World Design Capital” e rappresenta, dopo una lunga itineranza europea, il ritorno di “Interni Italiani” nel suo luogo di progettazione, la conclusione del primo ciclo e la premessa per una seconda fase già in fase di progettazione.
Walter Vallini
Edoardo Di Mauro
a cura di Edoardo Di Mauro e Walter Vallini
Quando, nei primi mesi del 2001, venne elaborato il progetto di “Interni Italiani”, l’intento degli ideatori, tutti provenienti da varie esperienze nell’ambito della creatività, era quello di produrre un evento in grado di sintetizzare il concetto di “arte” italiana in una accezione semantica il più ampia possibile che, partendo in prima istanza da un confronto tra gli specifici dell’arte visiva e del design, potesse in seguito estendersi anche ad altre discipline, rimarcando sempre le relazioni ed i punti di tangenza. “Interni Italiani” è quindi, per sua natura, un progetto duttile, aperto alle contaminazioni, realizzabile su scala più ristretta, ma sempre aperta ed interessante, nel rispetto della logistica e dei budget a disposizione, ed al pari pronto, qualora le circostanze lo permettano, ad espandersi nella dimensione tipica del grande evento. Dopo la prima edizione svoltasi presso la Sociedade Nacional des Belas Artes di Lisbona nel mese di aprile 2002, e la seconda nel periodo ottobre-novembre 2002 a Praga, presso la Cappella San Borromeo, affascinante sede espositiva annessa al locale Istituto Italiano di Cultura, “Interni Italiani” ha proseguito il suo percorso europeo approdando in un centro di grande rilevanza culturale come Berlino, presso la Kunsthaus Tacheles, e, successivamente, a Copenhagen, quarta puntata dell’evento, decisamente la più ampia ed articolata, suddivisa in tre manifestazioni da novembre 2004 a luglio 2005. Nel 2006, nuovamente a Lisbona, si è tenuta la quinta edizione dal titolo “Oggetti Luminosi & Dialoghi incrociati”. Con la sesta edizione “Interni Italiani” ritorna nel suolo luogo d’origine, pronta a ripartire aggiornata non appena si manifesteranno le condizioni.
L’ intento di “Interni Italiani” è duplice. Come recita infatti il testo introduttivo di Edoardo Di Mauro nel catalogo : “ … da un lato la valorizzazione della creatività italiana all’estero nelle non frequenti occasioni in cui, specie per le più recenti generazioni, questo si verifica, dall’altro la possibilità di compiere un’analisi del rapporto attualmente intercorrente tra l’ambito delle arti visive tradizionalmente inteso e, quello, per molti aspetti collegato, pur nella diversità dell’approccio mentale, del design e, a margine, dell’intero universo delle cosiddette “arti applicate”. Un approccio generato dalla medesima nascita in seno all’estesa categoria dell’artigianato, della “technè” inteso, nell’etimologia antica del termine, come concretizzazione oggettiva dei procedimenti mentali, connubio tra cultura “alta”, ideale e simbolica, e sua applicazione materiale, sinergia a lungo ignorata, ma ormai pienamente compresa nel clima della post modernità, dove ci troviamo a vivere e ad operare”.
“Interni Italiani” vuole essere, come già prima citato, rassegna duttile, aperta ai cambiamenti e, data la sua natura, intende proseguire il suo cammino, all’estero ed in Italia, ancora per alcuni anni.
Dopo la felice esperienza berlinese, coronamento del primo ciclo di mostre, che ci hanno permesso di saggiare tangibilmente la bontà del progetto, abbiamo progettato una seconda fase, impostata secondo i parametri di partenza, ma ulteriormente allargata a comprendere altri ambiti di creatività applicata quali la moda, la comunicazione interattiva e multimediale, l’enogastronomia.
La selezione dedicata alle arti visive è stata sempre indirizzata nei confronti di quelle esperienze, dal secondo dopoguerra ai giorni nostri, con una predilezione partecipe nei confronti dell’ultima generazione, quella più bisognosa di promozione internazionale, caratterizzate da un’attenzione nei confronti dell’oggetto, da un punto di vista sia concettuale che installativo, e dei nuovi materiali plastici e ritrovati tecnologici, adottando nei confronti del termine “interno” un atteggiamento tendente ad esaltarne il significato polisemantico, variante tra l’abbraccio e l’interazione tra “res cogitans” e “res extensa” e, all’opposto, il rifugiarsi “assente” in uno spazio riposto ed appartato in cui si dispiega la tensione interiore del singolo artefice.
Il primo ambito ad essere preso in esame è sempre comunque il design, dove è più evidente il debito – credito esistente col campo, spesso collimante ai limiti dell’omologia, dell’arte visiva.
Un percorso che fa del rapporto con la società dei fruitori, che si vuole sempre più allargata, la sua ragion d’essere. Dall’intuizione di Walter Benjamin sull’ “opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica”, alle utopie del “Bauhaus immaginista” nell’avanguardia artistica, fino al mixed – media del New Dada e del Nuovo Realismo ed all’uso di nuovi materiali e dell’oggetto nella sua nudità “secondaria” della Pop Art internazionale, che conobbe sviluppi estremamente interessanti proprio in Italia. Per giungere alle esperienze della post modernità, che con vari spunti, digressioni, fughe in avanti e repentini balzi all’indietro caratterizzano le vicende degli ultimi venticinque anni. Negli anni’80, in Italia, assistiamo ad un rapporto dell’arte con le nuove tecnologie ed i feticci mediali che iniziano a dilagare sempre più invasivamente nel territorio urbano. In un clima post ideologico e di rivalutazione dell’individualismo e degli aspetti esteticamente godibili dell’esistenza gli artisti adottano un nuovo oggettivismo come criterio di osservazione dell’universo sociale, mentre i designers, compresi numerosi esponenti già storicizzati, paiono rincorrerli e, talvolta, superarli, nell’adozione di coefficienti sempre più alti di decorazione e di inventività nella produzione di oggetti che tendonio a perdere il loro specifico di funzionalismo seriale per penetrare nel territorio auratico dell’irripetibilità. Nel decennio successivo verifichiamo una volontaria regressione dell’arte nei territori della smaterializzazione concettuale, dove gli oggetti, pur sempre presenti, vengono scomposti nella loro primarietà, per disvelarne i meccanismi di produzione mentale e dove il design riscopre il minimalismo progettuale e l’importanza della funzione pratica. Nei primi anni di questo nuovo millennio le carte si rimescolano nuovamente, riavvicinando, per taluni aspetti ed in presenza di quello che è un’enorme ampliamento dell’offerta creativa a tutti i livelli, le arti ad un clima simile a quello degli anni ’80, con gli artisti intenti ad esplorare la dimensione ludica ed innocente del gioco e dell’immaginario infantile e quella di una rinnovata dimensione artigianale del fare artistico, ispirazioni che paiono trovare precisa rispondenza nei territori delle creatività applicate.
Questi intenti programmatici si sono concretizzati al meglio con l’edizione di Copenhagen, realizzata in stretta collaborazione con la direttrice dell’Istituto Angela Trezza, che ebbe a suo tempo occasione di saggiare la bontà della nostra proposta quando ricopriva analogo ruolo a Praga, e grazie al prezioso contributo della Regione Piemonte e di una serie di sponsor privati.
La rassegna danese si è estesa temporalmente nell’arco di ben otto mesi comprendendo, oltre all’arte contemporanea ed al design oggetto delle precedenti edizioni, la sartoria d’autore, la videoarte e l’enogastronomia, quest’ultima con la degustazione di prodotti tipici piemontesi nell’ambito delle tre serate inaugurali.
La prima mostra , è stata curata da Walter Vallini con il titolo “Oggetti luminosi & dialoghi incrociati”. Motivo dell’allestimento l’interpretazione, da parte degli artisti e dei designer invitati, del tema della luce, fisicamente presente ed empaticamente sentito nei paesi nordici. Hanno esposto : Emiliano Cavalli, Design & Art Workshop, Luciano Gaglio, Carlo Giuliano, Gumdesign, Ale Guzzetti, Raffaele Iannello, Lucifero, Simone Micheli, Walter Vallini & Vittorio Valente.
La seconda, “Atelier Torino : il ritorno della sartoria d’autore”, a cura di Walter Dang, e, il 2 giugno 2005, la rassegna di arte contemporanea “Novarum” a cura di Edoardo Di Mauro, con la partecipazione di Luciano Gaglio, Vittorio Valente, Manuela Corti, Ernesto Jannini, Ale Guzzetti, Plumcake, Fathi Hassan, Ferruccio D’Angelo, Matilde Domestico, Tea Giobbio, Carmine Calvanese, Roberto Zizzo . Il video di Gianluca Rosso “L’idea è sublime e lontana” ha svolto il compito di fungere da ideale colonna sonora dell’intera manifestazione.
Nell’ottobre 2006 si è svolta la quinta edizione, nella sede espositiva dell’ICSTE Facoltà di Architettura dell’Università di Lisbona, dove è stata allestita una versione ampliata di “Oggetti luminosi & dialoghi incrociati” già vista a Copenhagen. Con l’Istituto Italiano di Cultura di Lisbona si è instaurato un rapporto estremamente positivo come testimonia un’altra rassegna ideata dalla Fusion Arts e dedicata ad una analisi del nuovo paesaggio architettonico ed ambientale del Piemonte, divulgato attraverso gli scatti ed i video di significativi autori impegnati nell’ambito della nuova immagine che , con il titolo “5 + 5” ha riscosso ad aprile e maggio 2008 un notevole consenso nelle sedi di Lisbona e di Porto.
“Interni Italiani 6” vuol essere un efficace compendio dei temi sviluppati nelle precedenti edizioni con l’inedita presenza di autori importanti come Ettore Sottsass, Ito Fukushi, e Claudio Silvestrin e due sedi espositive, lo show room di OperArt e la Fusion Art Gallery.
Questa puntata torinese è innanzitutto in sintonia con lo spirito che ha caratterizzato “Torino World Design Capital” e rappresenta, dopo una lunga itineranza europea, il ritorno di “Interni Italiani” nel suo luogo di progettazione, la conclusione del primo ciclo e la premessa per una seconda fase già in fase di progettazione.
Walter Vallini
Edoardo Di Mauro
dal 24 al 28 novembre 2008 Tuareg: le croci del deserto
a cura di Edoardo Di Mauro e Mino Rosso
Nuova serata organizzata in collaborazione con l'Associazione International Help Onlus che a partire dal 1995 opera nel campo della solidarietà a paesi in via di sviluppo. Interventi sono stati realizzati in Kenia, Guatemala, India, Madagascar, Argentina, Cuba, Etiopia, Mozambico. L'attività dell'Associazione è mirata al miglioramento della qualità della vita delle popolazioni locali, soprattutto dei bambini, attraverso programmi di cooperazione sociale, sanitaria, igienica e l'invio di materiale sanitario.
Nell'ambito di "Tuareg : le croci del deserto" potremo conoscere nell'allestimento dell'etnologo Mino Rosso i simboli di una cultura profondamente integrata con il territorio del deserto sahariano. Ognuno dei venti clan Tuareg è infatti caratterizzato da una croce riprodotta solitamente in argento. Le conosceremo attraverso le splendide, grandi riproduzioni di Mino, seguendone tramite i suoi filmati le tecniche di costruzione, e comprendendone la filosofia nei testi originali tradotti dall'arabo. Ma soprattutto potremo, sorseggiando un bicchiere, scegliere tra i diferenti modelli, importati da Mino, accoppiati nei pacchi dono ai vini della Cantina Cordero di Montezemolo. e scoprire un originale regalo per le prossime festività natalizie.
Vi invitiamo ad una serata di arte, etnologia e solidarietà, il cui ricavato sarà destinato al mantenimento della mensa per i bimbi poveri di Dilla, in Etiopia.
a cura di Edoardo Di Mauro e Mino Rosso
Nuova serata organizzata in collaborazione con l'Associazione International Help Onlus che a partire dal 1995 opera nel campo della solidarietà a paesi in via di sviluppo. Interventi sono stati realizzati in Kenia, Guatemala, India, Madagascar, Argentina, Cuba, Etiopia, Mozambico. L'attività dell'Associazione è mirata al miglioramento della qualità della vita delle popolazioni locali, soprattutto dei bambini, attraverso programmi di cooperazione sociale, sanitaria, igienica e l'invio di materiale sanitario.
Nell'ambito di "Tuareg : le croci del deserto" potremo conoscere nell'allestimento dell'etnologo Mino Rosso i simboli di una cultura profondamente integrata con il territorio del deserto sahariano. Ognuno dei venti clan Tuareg è infatti caratterizzato da una croce riprodotta solitamente in argento. Le conosceremo attraverso le splendide, grandi riproduzioni di Mino, seguendone tramite i suoi filmati le tecniche di costruzione, e comprendendone la filosofia nei testi originali tradotti dall'arabo. Ma soprattutto potremo, sorseggiando un bicchiere, scegliere tra i diferenti modelli, importati da Mino, accoppiati nei pacchi dono ai vini della Cantina Cordero di Montezemolo. e scoprire un originale regalo per le prossime festività natalizie.
Vi invitiamo ad una serata di arte, etnologia e solidarietà, il cui ricavato sarà destinato al mantenimento della mensa per i bimbi poveri di Dilla, in Etiopia.
dal 24 ottobre al 21 novembre 2008 Cornelia Badelita / Candida Ferrari
a cura di Edoardo Di Mauro e Walter Vallini
Cornelia Badelita è nata nel 1982 a Radauti (Romania), vive e lavora a Torino. Ha esposto presso le gallerie Salamon e Fusion Art Gallery, allestito una personale ( con Laura Ambrosi) presso lo Studio Cristiani di Torino, esposto nelle collettive “Laboratorio Torino”, “Segni” e “Paratissima”. Ha recentemente partecipato all’ottava edizione del Simposio Internazionale d’Arte Contemporanea Siviera a Verbania.
Candida Ferrari è nata a Parma, vive e lavora a Milano. La sua galleria di riferimento è lo Studio Maria Cilena Arte Contemporanea. Nell’imponente curriculum si segnalano il “Concorso Immaginaria” del 1992 (secondo premio, giuria composta da A. Bonito Oliva, D. Palazzoli, B. Munari, G. Politi, T. Pericoli), la personale del 2005 a cura di Giorgio Bonomi presso la Galleria Civica San Ludovico di Parma dal titolo “Sfogliando pagine di luce ed ombra”, la recente partecipazione alla prima edizione della Biennale Internazionale di Arte Contemporanea di Sabbioneta (Mn).
CORNELIA BADELITA
Essendo strumento mimetico per eccellenza la pittura riesce a metabolizzare, con procedimento metamorfico, tutto quanto proviene dall’esterno. Gareggiando e talvolta alleandosi con strumenti come la fotografia e l’immagine digitale riesce, ad onta dei suoi detrattori, a confrontarsi efficacemente con l’inesauribile armamentario di simulacri della contemporaneità. Nella più giovane generazione, come ebbi a notare in una collettiva del 2005, “La contemporaneità evocata”, quest’ultima appare come narrazione iconografica prevalente, ma tende a sfumare in un atteggiamento evocativo di suggestioni che furono un tempo intense e nel qui ed ora si ripropongono sfocate dalla consapevolezza e dal disincanto. Cornelia Badelita è una giovane artista rumena felicemente trapiantata a Torino dove si è diplomata con profitto all’Accademia Albertina. La positiva integrazione non le ha fatto dimenticare i miti ed i simboli della sua terra d’origine. Il più stretto contatto con la contemporaneità occidentale, come giustamente faceva notare Franco Fanelli in un recente scritto, le ha permesso di indirizzare la sua notevole tecnica di grafica e di disegnatrice verso un versante di pittura concettuale. Le opere recenti, rigorosamente in bianco e nero con qualche parziale inserto di colore, vengono realizzate con una singolare tecnica dove il disegno, essenziale e perfetto da un punto di vista anatomico, si sviluppa tramite l’impressione sulla tela di parole derivate da timbri inchiostrati. I soggetti, fortemente simbolici, spaziano da riferimenti geografici sotto forma di mappe ad un bestiario variegato caratterizzato da aspetti biografici e spesso sdrammatizzato da una surreale ironia, che si denota anche nei soggetti classici, come “San Giorgio ed il drago”, ancora forieri di interpretazioni e di riferimenti al clima dispersivo della contemporaneità.
Edoardo Di Mauro
CANDIDA FERRARI
Trasparenza e luce sono gli elementi fondanti dei lavori di Candida Ferrari, l’artista di Parma qui presente per la prima volta a Torino.
Ferrari adopera, di preferenza, plexiglas, acetati e carte speciali – trasparenti, lucide, cangianti – su cui interviene con il bitume liquido, usato come pittura, come colore proprio del suo linguaggio.
I fogli sovrapposti creano, così, trasparenze ed effetti luminosi mobili e non statici.
La composizione a “fogli” permette, anche, una lettura dell’opera come libro, ibridando, concettualmente, in tal modo il linguaggio visivo con quello “verbale”.
Accanto a queste opere, l’artista espone le sue Colonne, che in forma parzialmente differente, furono esposte alla XXIV Biennale di Scultura di Gubbio. Sono delle strutture tubolari irregolari in plexiglas, dipinte con colori vari ed appese al soffitto, quindi soggette facilmente all’ondulazione, cioè al movimento, che può produrre anche dei suoni, ma soprattutto produce delle variazioni luminescenti e cromatiche, rendendo la realtà, come quella atomica e quantistica, frammentata e mutevole, mai fissa e data una volta per tutte.
Giorgio Bonomi
a cura di Edoardo Di Mauro e Walter Vallini
Cornelia Badelita è nata nel 1982 a Radauti (Romania), vive e lavora a Torino. Ha esposto presso le gallerie Salamon e Fusion Art Gallery, allestito una personale ( con Laura Ambrosi) presso lo Studio Cristiani di Torino, esposto nelle collettive “Laboratorio Torino”, “Segni” e “Paratissima”. Ha recentemente partecipato all’ottava edizione del Simposio Internazionale d’Arte Contemporanea Siviera a Verbania.
Candida Ferrari è nata a Parma, vive e lavora a Milano. La sua galleria di riferimento è lo Studio Maria Cilena Arte Contemporanea. Nell’imponente curriculum si segnalano il “Concorso Immaginaria” del 1992 (secondo premio, giuria composta da A. Bonito Oliva, D. Palazzoli, B. Munari, G. Politi, T. Pericoli), la personale del 2005 a cura di Giorgio Bonomi presso la Galleria Civica San Ludovico di Parma dal titolo “Sfogliando pagine di luce ed ombra”, la recente partecipazione alla prima edizione della Biennale Internazionale di Arte Contemporanea di Sabbioneta (Mn).
CORNELIA BADELITA
Essendo strumento mimetico per eccellenza la pittura riesce a metabolizzare, con procedimento metamorfico, tutto quanto proviene dall’esterno. Gareggiando e talvolta alleandosi con strumenti come la fotografia e l’immagine digitale riesce, ad onta dei suoi detrattori, a confrontarsi efficacemente con l’inesauribile armamentario di simulacri della contemporaneità. Nella più giovane generazione, come ebbi a notare in una collettiva del 2005, “La contemporaneità evocata”, quest’ultima appare come narrazione iconografica prevalente, ma tende a sfumare in un atteggiamento evocativo di suggestioni che furono un tempo intense e nel qui ed ora si ripropongono sfocate dalla consapevolezza e dal disincanto. Cornelia Badelita è una giovane artista rumena felicemente trapiantata a Torino dove si è diplomata con profitto all’Accademia Albertina. La positiva integrazione non le ha fatto dimenticare i miti ed i simboli della sua terra d’origine. Il più stretto contatto con la contemporaneità occidentale, come giustamente faceva notare Franco Fanelli in un recente scritto, le ha permesso di indirizzare la sua notevole tecnica di grafica e di disegnatrice verso un versante di pittura concettuale. Le opere recenti, rigorosamente in bianco e nero con qualche parziale inserto di colore, vengono realizzate con una singolare tecnica dove il disegno, essenziale e perfetto da un punto di vista anatomico, si sviluppa tramite l’impressione sulla tela di parole derivate da timbri inchiostrati. I soggetti, fortemente simbolici, spaziano da riferimenti geografici sotto forma di mappe ad un bestiario variegato caratterizzato da aspetti biografici e spesso sdrammatizzato da una surreale ironia, che si denota anche nei soggetti classici, come “San Giorgio ed il drago”, ancora forieri di interpretazioni e di riferimenti al clima dispersivo della contemporaneità.
Edoardo Di Mauro
CANDIDA FERRARI
Trasparenza e luce sono gli elementi fondanti dei lavori di Candida Ferrari, l’artista di Parma qui presente per la prima volta a Torino.
Ferrari adopera, di preferenza, plexiglas, acetati e carte speciali – trasparenti, lucide, cangianti – su cui interviene con il bitume liquido, usato come pittura, come colore proprio del suo linguaggio.
I fogli sovrapposti creano, così, trasparenze ed effetti luminosi mobili e non statici.
La composizione a “fogli” permette, anche, una lettura dell’opera come libro, ibridando, concettualmente, in tal modo il linguaggio visivo con quello “verbale”.
Accanto a queste opere, l’artista espone le sue Colonne, che in forma parzialmente differente, furono esposte alla XXIV Biennale di Scultura di Gubbio. Sono delle strutture tubolari irregolari in plexiglas, dipinte con colori vari ed appese al soffitto, quindi soggette facilmente all’ondulazione, cioè al movimento, che può produrre anche dei suoni, ma soprattutto produce delle variazioni luminescenti e cromatiche, rendendo la realtà, come quella atomica e quantistica, frammentata e mutevole, mai fissa e data una volta per tutte.
Giorgio Bonomi
dal 19 settembre al 21 ottobre 2008 Enzo Bersezio / Stefano Soddu
a cura di Edoardo Di Mauro e Walter Vallini
Mi occupo del lavoro di Enzo Bersezio ormai da più di vent’anni. Da quando, nei primi mesi del 1987, venni a conoscenza del suo operare tramite amici comuni e presentai in quell’estate, insieme a Paolo Fossati, una sua personale sul Lago d’Orta. Il caso di Bersezio è unico per la scena torinese ma anche italiana. Si tratta di un artista che, pur mantenendo ferme ed evidenti le sue radici calate nella scena post concettuale dei primi anni ’70, sin dalla fine del decennio successivo ed ancora ad oggi, alle soglie di una meritata storicizzazione, ha condotto in maniera del tutto naturale la sua ricerca sui sentieri percorsi dalle più giovani generazioni, esponendo frequentemente con loro ed allestendo personali nelle gallerie dedite a quel tipo di indagine, come, tra le altre, Guido Carbone e VSV a Torino, Neon a Bologna. All’alba degli anni ’70 Bersezio è impegnato in una lavoro in cui l’inevitabile impegno concettuale si estende alla dimensione antropologica ed alla ricerca sul segno e la scrittura, in una scena torinese dove sono attive personalità quali Griffa, Gastini e De Alexandris. Negli anni ’80 lo stile dell’artista si indirizza decisamente sul versante della scultura, dapprima ancora parzialmente narrativa ed ancestrale, quanto a simboli e riferimenti, poi virante fino ad oggi, con poche significative variazioni formali, in direzione di un neo minimalismo pregno di artigianalità ed uso quasi devozionale dei materiali, primo tra tutti il legno, sapientemente lavorato ed innervato di colore, con talvolta l’aggiunta del vetro. Si tratta di opere che non rinnegano la vena concettuale delle origini e l’evocazione dell’immaginario naturale, l’acqua ed il mare in primo luogo, ma sanno altresì dirigersi verso territori di stringente contemporaneità, sfidando a viso aperto l’universo estetico delle arti applicate, con uno stile originale che già vent’anni fa ebbi a definire “architettura dell’immagine”.
Edoardo Di Mauro
La Fusion Art Gallery, nella sua eclettica e coerente programmazione, ha proposto diversi artisti venuti allo scoperto nel clima degli anni ’70 il cui lavoro sta adesso conoscendo una fase di freschezza creativa e di riconoscimento e valorizzazione ; da Claudio Costa per passare a Beppe Dellepiane, Stefano Spagnoli, Gianfranco Zappettini, Enzo Cacciola, Adriano Leverone. Ora è la volta, insieme al coetaneo Enzo Bersezio, di Stefano Soddu , un autore che ci porta verso lo specifico della scultura, di cui sa fornire una versione in sintonia con le istanze di rinnovamento emerse negli ultimi decenni. Le sue opere si propongono come installazioni evocanti il prolungamento della corporalità fisica e della dimensione mentale, oltre la dialettica inerente il rapporto tra l’oggetto e lo spazio, in grado di richiamarsi alla essenzialità dell’archetipo e di tendere alla ricerca di un dialogo tra artificio e natura, una delle linee di ricerca primarie dell’avanguardia artistica tardo novecentesca. In Soddu si incrociano armonicamente spunti che richiamano molteplici posizioni della ricerca contemporanea. Innanzitutto la sua predilezione per il recupero ed il riciclo a fini artistici di materiali ferrei lasciati liberi di sedimentarsi ed incrostarsi per l’inevitabile scorrere del tempo, con cui realizza installazioni dove predilige il rilievo a scapito di assemblaggi tendenti alla paratassi, cioè all’intreccio dei piani. Il rigoroso minimalismo di queste strutture è innervato dalla presenza di tagli ed inserti vari e talvolta dall’inserimento, a scopo installativo, di pigmenti. L’artista si è poi spesso cimentato con interventi di land art, mentre la sua vena fortemente intrisa di simbolismo e spiritualità lo ho naturalmente condotto verso un fecondo dialogo con i temi del sacro.
Edoardo Di Mauro
a cura di Edoardo Di Mauro e Walter Vallini
Mi occupo del lavoro di Enzo Bersezio ormai da più di vent’anni. Da quando, nei primi mesi del 1987, venni a conoscenza del suo operare tramite amici comuni e presentai in quell’estate, insieme a Paolo Fossati, una sua personale sul Lago d’Orta. Il caso di Bersezio è unico per la scena torinese ma anche italiana. Si tratta di un artista che, pur mantenendo ferme ed evidenti le sue radici calate nella scena post concettuale dei primi anni ’70, sin dalla fine del decennio successivo ed ancora ad oggi, alle soglie di una meritata storicizzazione, ha condotto in maniera del tutto naturale la sua ricerca sui sentieri percorsi dalle più giovani generazioni, esponendo frequentemente con loro ed allestendo personali nelle gallerie dedite a quel tipo di indagine, come, tra le altre, Guido Carbone e VSV a Torino, Neon a Bologna. All’alba degli anni ’70 Bersezio è impegnato in una lavoro in cui l’inevitabile impegno concettuale si estende alla dimensione antropologica ed alla ricerca sul segno e la scrittura, in una scena torinese dove sono attive personalità quali Griffa, Gastini e De Alexandris. Negli anni ’80 lo stile dell’artista si indirizza decisamente sul versante della scultura, dapprima ancora parzialmente narrativa ed ancestrale, quanto a simboli e riferimenti, poi virante fino ad oggi, con poche significative variazioni formali, in direzione di un neo minimalismo pregno di artigianalità ed uso quasi devozionale dei materiali, primo tra tutti il legno, sapientemente lavorato ed innervato di colore, con talvolta l’aggiunta del vetro. Si tratta di opere che non rinnegano la vena concettuale delle origini e l’evocazione dell’immaginario naturale, l’acqua ed il mare in primo luogo, ma sanno altresì dirigersi verso territori di stringente contemporaneità, sfidando a viso aperto l’universo estetico delle arti applicate, con uno stile originale che già vent’anni fa ebbi a definire “architettura dell’immagine”.
Edoardo Di Mauro
La Fusion Art Gallery, nella sua eclettica e coerente programmazione, ha proposto diversi artisti venuti allo scoperto nel clima degli anni ’70 il cui lavoro sta adesso conoscendo una fase di freschezza creativa e di riconoscimento e valorizzazione ; da Claudio Costa per passare a Beppe Dellepiane, Stefano Spagnoli, Gianfranco Zappettini, Enzo Cacciola, Adriano Leverone. Ora è la volta, insieme al coetaneo Enzo Bersezio, di Stefano Soddu , un autore che ci porta verso lo specifico della scultura, di cui sa fornire una versione in sintonia con le istanze di rinnovamento emerse negli ultimi decenni. Le sue opere si propongono come installazioni evocanti il prolungamento della corporalità fisica e della dimensione mentale, oltre la dialettica inerente il rapporto tra l’oggetto e lo spazio, in grado di richiamarsi alla essenzialità dell’archetipo e di tendere alla ricerca di un dialogo tra artificio e natura, una delle linee di ricerca primarie dell’avanguardia artistica tardo novecentesca. In Soddu si incrociano armonicamente spunti che richiamano molteplici posizioni della ricerca contemporanea. Innanzitutto la sua predilezione per il recupero ed il riciclo a fini artistici di materiali ferrei lasciati liberi di sedimentarsi ed incrostarsi per l’inevitabile scorrere del tempo, con cui realizza installazioni dove predilige il rilievo a scapito di assemblaggi tendenti alla paratassi, cioè all’intreccio dei piani. Il rigoroso minimalismo di queste strutture è innervato dalla presenza di tagli ed inserti vari e talvolta dall’inserimento, a scopo installativo, di pigmenti. L’artista si è poi spesso cimentato con interventi di land art, mentre la sua vena fortemente intrisa di simbolismo e spiritualità lo ho naturalmente condotto verso un fecondo dialogo con i temi del sacro.
Edoardo Di Mauro
dal 13 giugno al 16 settembre 2008 Stelle!
a cura di Edoardo Di Mauro e Walter Vallini
artsti : Alessandro Alimonti, Tomaso Binga, Gaetano Bùttaro, Maristella Campolunghi, Theo Gallino, Tea Giobbio, Francesca Maranetto Gay, Francesco Martani, Sebastiano Messina, Giovanna Picciau, Claudio Spoletini, Laurence Ursulet, Vittorio Valente, Walter Vallini, Roberto Zizzo.
“Stelle!” è una eclettica visione d’insieme della situazione in atto nella scena contemporanea italiana che riunisce in una mostra itinerante artisti appartenenti a diversi ambiti generazionali apparentati da evidenti affinità elettive . Il titolo intende essere efficace metafora di uno stato d’animo che sta insorgendo con gradualità e di cui gli osservatori più attenti e sensibili non possono non cogliere gli indizi. Dal punto di vista teorico, preciso che questa mostra è frutto di una riflessione non mia isolata ma collettiva, rinvengo numerose analogie con una rassegna da me ordinata nella primavera 2006 alla Fusion Art Gallery di Torino intitolata “L’immagine reincantata”. In quel caso il mio sguardo si volgeva verso ambiti relativi alle nuove tecnologie quindi fotografia, video ed immagine digitale. Nella circostanza, pur in presenza di una nutrita rappresentanza in tale senso orientata, il raggio dell’indagine si estende anche ad ambiti quali l’oggettualismo e la pittura, ma questo quasi nulla toglie all’omologia teorica tra queste due occasioni espositive. È stata proprio l’osservazione delle prove della più recente generazione artistica italiana, esaminata nella sua specificità poetica ed isolata dal contesto di un sistema dell’arte in cui il tasso di alienazione continua ad essere piuttosto elevato, a convincermi della presenza di sempre più consistenti indizi riguardanti una insorgente mutazione estetica e comportamentale. Ho elaborato il termine “nuova contemporaneità” per indicare uno stato d’animo diffuso che sembra volere andare oltre le secche in cui si era ormai incagliato il post moderno. Come sostenuto da uno dei migliori estetologi italiani, Mario Perniola, l’arte vuole proporre nuovamente un senso al suo esistere, a cui egli dà l’appellativo di “resto” od “ombra”, andando oltre l’opposta tautologia nella quale si era incanalata a partire dagli anni ’50 dapprima con la teoria situazionista e con quella successiva del Concettuale incarnato dalla riflessione teorica di Joseph Kosuth, entrambe convergenti nel rifiutare una visione formalistica dell’arte perché inficiante il soggettivismo dell’artista, la sua produzione mentale e teorica come unica portatrice di senso e di verità in opposizione al feticcio dell’opera prodotto a solo uso e consumo della “società dello spettacolo”. La seconda opzione è viceversa una interpretazione strumentalmente riduttiva della cosiddetta “teoria istituzionale” che considera l’arte categoria principalmente storica e l’opera come oggetto la cui qualità è esclusivamente determinata dal successo che riscuote presso i soggetti istituzionali : musei ed operatori del mercato, riviste specializzate, critici più o meno solidali e compiacenti con le regole imposte. Sono d’accordo sul fatto che l’arte non può essere spiegata a prescindere da ben determinati fattori storici e sociali ma è anche evidente come l’esasperazione di questi presupposti porta ad un disciogliersi del messaggio all’interno dei meccanismi della comunicazione. Il risultato in termini estetici è il cosiddetto “sensazionalismo”, procedimento in cui l’arte intende provocare disgusto e turbamento allontanandosi volutamente dal pubblico ma accrescendo la sua “audience” e costringendo i protagonisti a spararla sempre più grossa : esempio indicativo e citato perché noto ai più Maurizio Cattelan, personalità per cui valgono ormai i parametri di giudizio adoperati per valutare popstar e divi del cinema e non certo i classici criteri di valutazione artistica. Tali fenomeni sono stati introdotti dal nichilismo e dalla “morte di Dio” teorizzata da Nietzsche sul finire del secolo scorso : l’avvento della tecnica svuota progressivamente la civiltà occidentale delle antiche certezze ed anche l’arte conosce lo stesso destino il cui esito finale si ha dopo la seconda metà degli anni ’70 quando viene meno la spinta propulsiva e vitalistica delle avanguardie storiche strettamente correlate al concetto del Superuomo. La citazione esasperata e spesso sterile delle esperienze del passato, il cinismo dichiarato con senso di supponenza è per molti aspetti espressione di questo rimpianto. Tuttavia in questi anni d’esordio del nuovo millennio si intravede la possibilità di una “terza via” al di là di improbabili volontà di restaurazione di una classicità statica o di un totale annullamento dell’arte nel reale e nella comunicazione : un atteggiamento che, pur partecipando alle vicende del quotidiano, interviene su di esse per gettarvi verità, resistendo al conformismo ed alla massificazione dell’opera per restituire all’arte grandezza progettuale e dignità estetica. Un indizio certo di questo mutato atteggiamento è dato dalla capacità attuale di usare le tecnologie nella loro specificità di linguaggio. Il tutto parte dal ruolo assunto dalla fotografia che, nell’ultimo trentennio, si è riversata massiccia nel panorama eclettico della contemporaneità privilegiando la funzione piuttosto che l’oggetto e diventando gradualmente una delle dimensioni narrative maggioritarie, trascinando con sé il video, suo successore e derivato tecnologico. L’atteggiamento si è manifestato nella duplice accezione di una partecipazione “fredda”, tendente a privilegiare una classificazione impersonale ed asettica dell’esistente e della banalità quotidiana, ed un’ altra dimensione “calda” e psicologica, in cui gli artisti hanno adoperato il mezzo come estensione del proprio io, per calarsi nel reale con atteggiamento di affettuosa partecipazione. Ma questo non è affatto in contraddizione con un uso “artistico” del mezzo, anzi semmai ne rafforza la vocazione di strumento atto a cogliere il reale nell’accezione di un abbraccio interire, di un congiungimento con l’io dell’artista. Il “reincanto” stigmatizza una nuova fase epocale in cui siamo ormai entrati : dopo la plurisecolare prevalenza del razionalismo introdotto dal Rinascimento e confermato dall’Illuminismo, dominato dal “logos”, le tecnologie immateriali ci hanno introdotti nella civiltà dell’immagine, in cui si assiste ad una ripresa di valori magici e rituali che collegano la nostra epoca ad un passato premoderno con la ricomparsa di antichi archetipi ed una nuova dimensione comunitaria in cui l’individuo vive attraverso lo sguardo e le leggi degli altri. Questo assunto è valido per la nuova immagine tecnologica ma è pressoché del tutto traslabile verso altre opzioni stilistiche come l’oggettualismo, in questo caso con l’introduzione di una cospicua dose di ironia e la volontà di sfidare le arti applicate sul loro stesso terreno e la pittura, tesa verso una dimensione simbolica e narrativa. Le contaminazioni tra linguaggi, oggi sempre più plausibili e necessarie, fungono da efficace collante linguistico. Vengo ora a trattare di alcuni tra gli autori presenti in mostra, dividendo questa compito con l’altro curatore, che è Bianca Pedace. Gaetano Buttaro impiega con lucidità le tecnologie digitali per costruire un’immagine tesa allo scandaglio analitico ed impietoso, per quanto velato da una patina di soffusa malinconia, dei misteri dell’interiorità umana. L’artista, negli ultimi lavori, tende a rivolgere il suo sguardo indagatore su sé stesso, con inquadrature dotate di un movimento volutamente frammentato ed in parte sfocato, che indica la mutevolezza delle sensazioni e degli stati d’animo e la volontà, forse vana, di ricondurle all’unitarietà del Super Io. Theo Gallino con le sue opere ultime pone in essere un vero e proprio procedimento alchemico, coerentemente con uno stile dove l’aniconicità sa conciliarsi con l’immagine sublimata nell’evocazione dell’ombra, intravista come un fantasma sfuggente bloccato nell’attimo stesso in cui si pone all’ attenzione percettiva. Nelle sue “scatole alchemiche” figure ed oggetti giacciono sofficemente custoditi in contenitori dalle forme variabili, avvolte in un liquido amniotico composto da cera ed anilina. Tea Giobbio riflette sul rapporto tra il suo essere donna ed il mondo tramite un’analisi della condizione del corpo femminile e l’invasiva esteriorità contemporanea o si sofferma, con la delicatezza del bianco e nero, su paesaggi onirici in cui il cielo funge da cornice all’immanenza di soggetti placidamente zoomorfi. Come evidenziato anche da altri curatori nel lavoro della Giobbio è privilegiato il concetto dell’ “assenza”, in quanto il suo corpo, così come il paesaggio, non appare mai nella sua interezza ma si fissa in una situazione temporale di transito e di divenire. Walter Vallini è un creativo a tutto campo, come conviene essere in questa nostra epoca divisa e frammentata che anela una possibile unitarietà. Le installazioni di Vallini, al confine tra arte e design, sono caratterizzate da un funzionalismo “dolce”, in cui l’oggetto va oltre il suo compito di concreta utilità per relazionarsi con l’ambiente in cui si colloca, contribuendo a determinare le reazioni psicofisiche dei fruitori, con un’operazione dove la “technè” è intesa come capacità di progettare, di aggiungere all’oggetto un’opportuna dose di estro e creatività, emendandolo in buona parte dal suo inevitabile destino di “merce”. Vittorio Valente, che spesso con Vallini ha collaborato nella realizzazione di progetti collettivi, è un’artista dallo stile inconfondibile ed ormai largamente conosciuto ed apprezzato, centrato sullo svelamento dell’intensità e del dinamismo dell’universo biomorfico, della naturale artisticità ed apparente innocenza di temibili cellule, pronte a moltiplicarsi ed a colpirci. Il tutto con una tecnica dove l’oggetto si dispone di preferenza in contesti ambientali ma anche a parete, che si avvale di materiali plastici e di silicone con cui l’artista forgia una gamma inesauribile e mai ripetitiva di soluzioni formali, che invadono lo spazio in cui hanno l’occasione di collocarsi, con la costante capacità di scuotere positivamente i fruitori. Roberto Zizzo è un’artista che sfida con coraggio i dogmi soffocanti del “politicamente corretto”, oggi così di voga. Zizzo manipola in mille modi e maniere, con il tramite della tavolozza tecnologica adoperata come reale protesi della manualità, il corpo umano, talvolta con uno scandaglio auto-voyeurista di particolari del suo corpo, in altri casi pescando nell’immenso vivaio di immagini anonime fornite da Internet. La sua è un’analisi da un lato rivolta verso le mutazioni prodotte dalle nuove frontiere della ricerca biologica, dall’altro tesa alla critica della mercificazione del corpo nella società contemporanea, dove esso è sempre più sottoposto alle leggi dell’apparire piuttosto che a quelle, ben più profonde ma difficili da conquistare, dell’essere. Francesca Maranetto Gay utilizza il video, la musica e la tecnologia digitale per realizzare immagini in movimento o fissate bidimensionalmente nei frames od in autonome elaborazioni formali, dove protagonisti sono la dimensione interiore ed il trascendente nell’accezione del dialogo con l’altro da sé o della contemplazione del paesaggio nel suo scorrere e divenire. L’artista si pone costantemente in una dimensione di movimento, l’azione e l’agire sono regole per lei fondamentali, nei suoi video assistiamo a dei viaggi transreali con una partenza, un arrivo ed in mezzo un turbinio di sensazioni, come appariva evidente nell’ultimo lavoro, “Video1-Def” presentato in occasione della sua recente mostra personale alla Fusion Art Gallery.
Edoardo Di Mauro, maggio 2007.
Cosmonauti
In questa metaforica navigazione tra le stelle si può forse rinvenire il senso di un’arte da intendersi come ricerca necessaria e affascinante in lande lontane e sconfinate , in assenza talvolta di sicuri centri di gravità. Nondimeno mi pare si possa fare rotta verso nuovi sistemi solari, aprendo nuovi percorsi di senso.
La babele linguistica, dato acquisito e ormai permanente, si accompagna anche a elementi di “nuova contemporaneità”, meglio leggibili nei linguaggi storicamente più recenti ed emblematicamente riassunti nella nodale “L’immagine reincantata” , ordinata nel 2006 a Torino da Edoardo Di Mauro.
Lontana ormai, ne peraltro remota, la Platea di szeemaniana memoria, si chiude, credo, anche l’epoca di una apertura critica alle più disparate esperienze , resa vana dalla degenerazione in episodi di puro intrattenimento.
Nello stesso tempo all’arte oggi sempre più si demanda una presa di posizione sui temi più scottanti , quasi fosse l’ultima possibile plaga di autorevolezza, l’ultima possibile chiave di accesso, insomma l’ultima possibile gnoseologia. Su questa linea si poneva , nel 2005, un piccolo contributo di chi scrive, con la mostra “Deterritorializzazione” alla Rocca Paolina di Perugina e, nello stesso tempo, “Identità e nomadismo” nel senese Palazzo delle Papesse, dove si è peraltro tenuta la poetica e stimolante “System Error – Errore di sistema”. Il bisogno di un nuovo radicalismo critico si dovrà del resto giocare anche e soprattutto in un rinnovato pensiero forte curatoriale e, come ha scritto Di Mauro in occasione della prima tappa di queste nostre “Stelle!” viaggianti, nella stessa nuova capacità dell’arte di trovare un senso al suo agire.
In questa direzione si gioca “l’allusione siderale” della collettiva che curo insieme a Edoardo Di Mauro.
Conseguentemente, sebbene si evidente la differenza fra le varie opzioni linguistiche presenti, mi pare si possa tentare un’analisi anche comparativa del gruppo romano che presento (Alessandro Alimenti, Tomaso Binga, Mariastella Campolunghi, Sebastiamo Messina, Giovanna Picciau, Claudio Spoletini). Artisti, in ogni caso non privi di una compattezza generazionale e accomunati dal territorio in cui operano e cioè Roma, oggi al centro di un nuovo Rinascimento. Considerati separatamente e impregiudicatamente, direi che li avvicini anche una tangenza neosurrealista variamente esplicata, per la quale si propone una variegata situazione di Neosurrealismo romano,. Con accenti diversi, invece, si estrinsecano altre due interessanti esperienze pittoriche d’area centroitaliana, quella di Laurence Ursulet e di Francesco Martani . La prima, di pertinenza perugina, ci propone una riflessione profonda partita dalla cartografia geofilosofica . Dalle suggestioni deleuziane l’artista trae un complesso universo, trasposto in forme grafiche, pittoriche e agopittoriche in un “atlante delle emozioni” di forte afflato speculativo. Dalle sete si liberano efflorescenze di fili sciolti e pendenti, percorsi da cosmonauti in un territorio di valenza interiore.
Nel suo ciclo più recente , una riflessione sul dolore, anche il cielo si bagna di sangue e solo i sentimenti di pietas, espressi dalle ripetute velature di resine sembrano redimere la ferinità umana, contrappuntando la violenza della storia con ricami di stridente e fabulistica acme cromatica , quasi stelle lontane, rotte strali e in attingibili. L’intensa presenza pittorica di pertinenza bolognese di Francesco Martani, è stata invece segnata da un fondamentale imprinting nella New York degli anni ‘50, dove apprende, tra l’altro, un furor gestuale mai più abbandonato. Le sue Nuvole, simbolo per eccellenza dell’ambiguità di forme, della leggerezza e dell’immateriale, insomma dell’etereo, diventano folgorante metafora dei nostri tempi, topos potente del nostro immaginario, essendo del resto realizzate con una pittura liquida e luminosa, traslato stilistico della oro levità. Per quanto riguarda invece il gruppo romano l’ascendenza surrealista è evidente, ad esempio nella serie dell’Alfabetiere murale di Tomaso Binga, opera del 1977, riproposta, a distanza di trent’anni, in una sorta di visione del contemporaneo come presente della coscienza che, negli stessi giorni in cui si apriva la prima tappa del nostro viaggio cosmico, veniva identicamente proposta da Documenta. Impegnata nella cruciale questione del genere Binga trasforma il corpo femminile in lettera, cioè significante, mentre la composizione rimanda al mondo della scrittura e della scuola , dell’alfabetizzazione come liberazione e acquisizione di senso.
In Alessandro Alimenti la progressiva decantazione compositiva perviene ad una sorta di “ecologia visiva”, nella quale l’ingrandimento dei particolari, di dettato metafisico – surrealista, riporta alle Sculptures involontaires di Brassai per Dalì, svelando il potenziale estetico degli elementi del paesaggio visivo quotidiano. Maristella Campolunghi, operando con il medium fotografico , presenta il ciclo Fiori nudi in cui il rovesciamento del punto di vista consueto è il prodromo di un metamorfismo che rende irriconoscibili i soggetti, giungendo ad un’astrazione ambigua, di allure poetica e surrealista, mentre la maestria nel gioco compositivo delle penombre lumeggia uno spazio inafferrabile e sinuoso.
Nel lavoro di Sebastiano Messina, già il titolo della serie, Epoche, ovvero sospensione del giudizio, allude al temporaneo accantonamento delle facoltà logico – discorsive . Posto a tacere dunque il logos è possibile immergersi in un reale assoluto , che immediatamente si qualifica come surrealtà. E la fotografia, indice per eccellenza, traccia della realtà, è il mezzo d’elezione per costruire una nuova narrazione delle cose, come teorizzato da Rosalind Krauss nel suo Fotografia e Surrealismo.
Claudio Spoletini negli ultimi anni dipinge scene rarefatte e tacite su cui si staglia solitaria la sagoma delle fabbriche, catalogando in repertorio un’operazione di recupero memoriale collettivo , di cui trae il vocabolario iconografico da immagini d’epoca, tramandandone poi traccia nella sua pittura. Scomparsi gli operai e le operaie , uccisi dalla ferocia capitalista, resta, a surrogare la presenza umana, la collezione di giocattoli di latta , fuori scala e colorati, in una sottile allusione saviniana che conferma il suo subliminale neosurrealismo , demistificante e tragico, a dispetto della levità quasi aerea degli esiti estetici.
Nella pittura di Giovanna Picciau il ricordo di una ormai lontana fase magrittiana si fonde con più precisi ascendenti di realismo magico, ironicamente riassunti in una pittura di ascendenza Pop , nella libertà fantastica dell’immaginifica levitazione dei corpi o degli oggetti nello spazio, rese nelle forme lucide e suadenti di brillanti superfici cromatiche. La ludica, demistificante disposizione all’immediato edonismo visivo qualificano il grande appeal internazionale della sua operazione.
Bianca Pedace
a cura di Edoardo Di Mauro e Walter Vallini
artsti : Alessandro Alimonti, Tomaso Binga, Gaetano Bùttaro, Maristella Campolunghi, Theo Gallino, Tea Giobbio, Francesca Maranetto Gay, Francesco Martani, Sebastiano Messina, Giovanna Picciau, Claudio Spoletini, Laurence Ursulet, Vittorio Valente, Walter Vallini, Roberto Zizzo.
“Stelle!” è una eclettica visione d’insieme della situazione in atto nella scena contemporanea italiana che riunisce in una mostra itinerante artisti appartenenti a diversi ambiti generazionali apparentati da evidenti affinità elettive . Il titolo intende essere efficace metafora di uno stato d’animo che sta insorgendo con gradualità e di cui gli osservatori più attenti e sensibili non possono non cogliere gli indizi. Dal punto di vista teorico, preciso che questa mostra è frutto di una riflessione non mia isolata ma collettiva, rinvengo numerose analogie con una rassegna da me ordinata nella primavera 2006 alla Fusion Art Gallery di Torino intitolata “L’immagine reincantata”. In quel caso il mio sguardo si volgeva verso ambiti relativi alle nuove tecnologie quindi fotografia, video ed immagine digitale. Nella circostanza, pur in presenza di una nutrita rappresentanza in tale senso orientata, il raggio dell’indagine si estende anche ad ambiti quali l’oggettualismo e la pittura, ma questo quasi nulla toglie all’omologia teorica tra queste due occasioni espositive. È stata proprio l’osservazione delle prove della più recente generazione artistica italiana, esaminata nella sua specificità poetica ed isolata dal contesto di un sistema dell’arte in cui il tasso di alienazione continua ad essere piuttosto elevato, a convincermi della presenza di sempre più consistenti indizi riguardanti una insorgente mutazione estetica e comportamentale. Ho elaborato il termine “nuova contemporaneità” per indicare uno stato d’animo diffuso che sembra volere andare oltre le secche in cui si era ormai incagliato il post moderno. Come sostenuto da uno dei migliori estetologi italiani, Mario Perniola, l’arte vuole proporre nuovamente un senso al suo esistere, a cui egli dà l’appellativo di “resto” od “ombra”, andando oltre l’opposta tautologia nella quale si era incanalata a partire dagli anni ’50 dapprima con la teoria situazionista e con quella successiva del Concettuale incarnato dalla riflessione teorica di Joseph Kosuth, entrambe convergenti nel rifiutare una visione formalistica dell’arte perché inficiante il soggettivismo dell’artista, la sua produzione mentale e teorica come unica portatrice di senso e di verità in opposizione al feticcio dell’opera prodotto a solo uso e consumo della “società dello spettacolo”. La seconda opzione è viceversa una interpretazione strumentalmente riduttiva della cosiddetta “teoria istituzionale” che considera l’arte categoria principalmente storica e l’opera come oggetto la cui qualità è esclusivamente determinata dal successo che riscuote presso i soggetti istituzionali : musei ed operatori del mercato, riviste specializzate, critici più o meno solidali e compiacenti con le regole imposte. Sono d’accordo sul fatto che l’arte non può essere spiegata a prescindere da ben determinati fattori storici e sociali ma è anche evidente come l’esasperazione di questi presupposti porta ad un disciogliersi del messaggio all’interno dei meccanismi della comunicazione. Il risultato in termini estetici è il cosiddetto “sensazionalismo”, procedimento in cui l’arte intende provocare disgusto e turbamento allontanandosi volutamente dal pubblico ma accrescendo la sua “audience” e costringendo i protagonisti a spararla sempre più grossa : esempio indicativo e citato perché noto ai più Maurizio Cattelan, personalità per cui valgono ormai i parametri di giudizio adoperati per valutare popstar e divi del cinema e non certo i classici criteri di valutazione artistica. Tali fenomeni sono stati introdotti dal nichilismo e dalla “morte di Dio” teorizzata da Nietzsche sul finire del secolo scorso : l’avvento della tecnica svuota progressivamente la civiltà occidentale delle antiche certezze ed anche l’arte conosce lo stesso destino il cui esito finale si ha dopo la seconda metà degli anni ’70 quando viene meno la spinta propulsiva e vitalistica delle avanguardie storiche strettamente correlate al concetto del Superuomo. La citazione esasperata e spesso sterile delle esperienze del passato, il cinismo dichiarato con senso di supponenza è per molti aspetti espressione di questo rimpianto. Tuttavia in questi anni d’esordio del nuovo millennio si intravede la possibilità di una “terza via” al di là di improbabili volontà di restaurazione di una classicità statica o di un totale annullamento dell’arte nel reale e nella comunicazione : un atteggiamento che, pur partecipando alle vicende del quotidiano, interviene su di esse per gettarvi verità, resistendo al conformismo ed alla massificazione dell’opera per restituire all’arte grandezza progettuale e dignità estetica. Un indizio certo di questo mutato atteggiamento è dato dalla capacità attuale di usare le tecnologie nella loro specificità di linguaggio. Il tutto parte dal ruolo assunto dalla fotografia che, nell’ultimo trentennio, si è riversata massiccia nel panorama eclettico della contemporaneità privilegiando la funzione piuttosto che l’oggetto e diventando gradualmente una delle dimensioni narrative maggioritarie, trascinando con sé il video, suo successore e derivato tecnologico. L’atteggiamento si è manifestato nella duplice accezione di una partecipazione “fredda”, tendente a privilegiare una classificazione impersonale ed asettica dell’esistente e della banalità quotidiana, ed un’ altra dimensione “calda” e psicologica, in cui gli artisti hanno adoperato il mezzo come estensione del proprio io, per calarsi nel reale con atteggiamento di affettuosa partecipazione. Ma questo non è affatto in contraddizione con un uso “artistico” del mezzo, anzi semmai ne rafforza la vocazione di strumento atto a cogliere il reale nell’accezione di un abbraccio interire, di un congiungimento con l’io dell’artista. Il “reincanto” stigmatizza una nuova fase epocale in cui siamo ormai entrati : dopo la plurisecolare prevalenza del razionalismo introdotto dal Rinascimento e confermato dall’Illuminismo, dominato dal “logos”, le tecnologie immateriali ci hanno introdotti nella civiltà dell’immagine, in cui si assiste ad una ripresa di valori magici e rituali che collegano la nostra epoca ad un passato premoderno con la ricomparsa di antichi archetipi ed una nuova dimensione comunitaria in cui l’individuo vive attraverso lo sguardo e le leggi degli altri. Questo assunto è valido per la nuova immagine tecnologica ma è pressoché del tutto traslabile verso altre opzioni stilistiche come l’oggettualismo, in questo caso con l’introduzione di una cospicua dose di ironia e la volontà di sfidare le arti applicate sul loro stesso terreno e la pittura, tesa verso una dimensione simbolica e narrativa. Le contaminazioni tra linguaggi, oggi sempre più plausibili e necessarie, fungono da efficace collante linguistico. Vengo ora a trattare di alcuni tra gli autori presenti in mostra, dividendo questa compito con l’altro curatore, che è Bianca Pedace. Gaetano Buttaro impiega con lucidità le tecnologie digitali per costruire un’immagine tesa allo scandaglio analitico ed impietoso, per quanto velato da una patina di soffusa malinconia, dei misteri dell’interiorità umana. L’artista, negli ultimi lavori, tende a rivolgere il suo sguardo indagatore su sé stesso, con inquadrature dotate di un movimento volutamente frammentato ed in parte sfocato, che indica la mutevolezza delle sensazioni e degli stati d’animo e la volontà, forse vana, di ricondurle all’unitarietà del Super Io. Theo Gallino con le sue opere ultime pone in essere un vero e proprio procedimento alchemico, coerentemente con uno stile dove l’aniconicità sa conciliarsi con l’immagine sublimata nell’evocazione dell’ombra, intravista come un fantasma sfuggente bloccato nell’attimo stesso in cui si pone all’ attenzione percettiva. Nelle sue “scatole alchemiche” figure ed oggetti giacciono sofficemente custoditi in contenitori dalle forme variabili, avvolte in un liquido amniotico composto da cera ed anilina. Tea Giobbio riflette sul rapporto tra il suo essere donna ed il mondo tramite un’analisi della condizione del corpo femminile e l’invasiva esteriorità contemporanea o si sofferma, con la delicatezza del bianco e nero, su paesaggi onirici in cui il cielo funge da cornice all’immanenza di soggetti placidamente zoomorfi. Come evidenziato anche da altri curatori nel lavoro della Giobbio è privilegiato il concetto dell’ “assenza”, in quanto il suo corpo, così come il paesaggio, non appare mai nella sua interezza ma si fissa in una situazione temporale di transito e di divenire. Walter Vallini è un creativo a tutto campo, come conviene essere in questa nostra epoca divisa e frammentata che anela una possibile unitarietà. Le installazioni di Vallini, al confine tra arte e design, sono caratterizzate da un funzionalismo “dolce”, in cui l’oggetto va oltre il suo compito di concreta utilità per relazionarsi con l’ambiente in cui si colloca, contribuendo a determinare le reazioni psicofisiche dei fruitori, con un’operazione dove la “technè” è intesa come capacità di progettare, di aggiungere all’oggetto un’opportuna dose di estro e creatività, emendandolo in buona parte dal suo inevitabile destino di “merce”. Vittorio Valente, che spesso con Vallini ha collaborato nella realizzazione di progetti collettivi, è un’artista dallo stile inconfondibile ed ormai largamente conosciuto ed apprezzato, centrato sullo svelamento dell’intensità e del dinamismo dell’universo biomorfico, della naturale artisticità ed apparente innocenza di temibili cellule, pronte a moltiplicarsi ed a colpirci. Il tutto con una tecnica dove l’oggetto si dispone di preferenza in contesti ambientali ma anche a parete, che si avvale di materiali plastici e di silicone con cui l’artista forgia una gamma inesauribile e mai ripetitiva di soluzioni formali, che invadono lo spazio in cui hanno l’occasione di collocarsi, con la costante capacità di scuotere positivamente i fruitori. Roberto Zizzo è un’artista che sfida con coraggio i dogmi soffocanti del “politicamente corretto”, oggi così di voga. Zizzo manipola in mille modi e maniere, con il tramite della tavolozza tecnologica adoperata come reale protesi della manualità, il corpo umano, talvolta con uno scandaglio auto-voyeurista di particolari del suo corpo, in altri casi pescando nell’immenso vivaio di immagini anonime fornite da Internet. La sua è un’analisi da un lato rivolta verso le mutazioni prodotte dalle nuove frontiere della ricerca biologica, dall’altro tesa alla critica della mercificazione del corpo nella società contemporanea, dove esso è sempre più sottoposto alle leggi dell’apparire piuttosto che a quelle, ben più profonde ma difficili da conquistare, dell’essere. Francesca Maranetto Gay utilizza il video, la musica e la tecnologia digitale per realizzare immagini in movimento o fissate bidimensionalmente nei frames od in autonome elaborazioni formali, dove protagonisti sono la dimensione interiore ed il trascendente nell’accezione del dialogo con l’altro da sé o della contemplazione del paesaggio nel suo scorrere e divenire. L’artista si pone costantemente in una dimensione di movimento, l’azione e l’agire sono regole per lei fondamentali, nei suoi video assistiamo a dei viaggi transreali con una partenza, un arrivo ed in mezzo un turbinio di sensazioni, come appariva evidente nell’ultimo lavoro, “Video1-Def” presentato in occasione della sua recente mostra personale alla Fusion Art Gallery.
Edoardo Di Mauro, maggio 2007.
Cosmonauti
In questa metaforica navigazione tra le stelle si può forse rinvenire il senso di un’arte da intendersi come ricerca necessaria e affascinante in lande lontane e sconfinate , in assenza talvolta di sicuri centri di gravità. Nondimeno mi pare si possa fare rotta verso nuovi sistemi solari, aprendo nuovi percorsi di senso.
La babele linguistica, dato acquisito e ormai permanente, si accompagna anche a elementi di “nuova contemporaneità”, meglio leggibili nei linguaggi storicamente più recenti ed emblematicamente riassunti nella nodale “L’immagine reincantata” , ordinata nel 2006 a Torino da Edoardo Di Mauro.
Lontana ormai, ne peraltro remota, la Platea di szeemaniana memoria, si chiude, credo, anche l’epoca di una apertura critica alle più disparate esperienze , resa vana dalla degenerazione in episodi di puro intrattenimento.
Nello stesso tempo all’arte oggi sempre più si demanda una presa di posizione sui temi più scottanti , quasi fosse l’ultima possibile plaga di autorevolezza, l’ultima possibile chiave di accesso, insomma l’ultima possibile gnoseologia. Su questa linea si poneva , nel 2005, un piccolo contributo di chi scrive, con la mostra “Deterritorializzazione” alla Rocca Paolina di Perugina e, nello stesso tempo, “Identità e nomadismo” nel senese Palazzo delle Papesse, dove si è peraltro tenuta la poetica e stimolante “System Error – Errore di sistema”. Il bisogno di un nuovo radicalismo critico si dovrà del resto giocare anche e soprattutto in un rinnovato pensiero forte curatoriale e, come ha scritto Di Mauro in occasione della prima tappa di queste nostre “Stelle!” viaggianti, nella stessa nuova capacità dell’arte di trovare un senso al suo agire.
In questa direzione si gioca “l’allusione siderale” della collettiva che curo insieme a Edoardo Di Mauro.
Conseguentemente, sebbene si evidente la differenza fra le varie opzioni linguistiche presenti, mi pare si possa tentare un’analisi anche comparativa del gruppo romano che presento (Alessandro Alimenti, Tomaso Binga, Mariastella Campolunghi, Sebastiamo Messina, Giovanna Picciau, Claudio Spoletini). Artisti, in ogni caso non privi di una compattezza generazionale e accomunati dal territorio in cui operano e cioè Roma, oggi al centro di un nuovo Rinascimento. Considerati separatamente e impregiudicatamente, direi che li avvicini anche una tangenza neosurrealista variamente esplicata, per la quale si propone una variegata situazione di Neosurrealismo romano,. Con accenti diversi, invece, si estrinsecano altre due interessanti esperienze pittoriche d’area centroitaliana, quella di Laurence Ursulet e di Francesco Martani . La prima, di pertinenza perugina, ci propone una riflessione profonda partita dalla cartografia geofilosofica . Dalle suggestioni deleuziane l’artista trae un complesso universo, trasposto in forme grafiche, pittoriche e agopittoriche in un “atlante delle emozioni” di forte afflato speculativo. Dalle sete si liberano efflorescenze di fili sciolti e pendenti, percorsi da cosmonauti in un territorio di valenza interiore.
Nel suo ciclo più recente , una riflessione sul dolore, anche il cielo si bagna di sangue e solo i sentimenti di pietas, espressi dalle ripetute velature di resine sembrano redimere la ferinità umana, contrappuntando la violenza della storia con ricami di stridente e fabulistica acme cromatica , quasi stelle lontane, rotte strali e in attingibili. L’intensa presenza pittorica di pertinenza bolognese di Francesco Martani, è stata invece segnata da un fondamentale imprinting nella New York degli anni ‘50, dove apprende, tra l’altro, un furor gestuale mai più abbandonato. Le sue Nuvole, simbolo per eccellenza dell’ambiguità di forme, della leggerezza e dell’immateriale, insomma dell’etereo, diventano folgorante metafora dei nostri tempi, topos potente del nostro immaginario, essendo del resto realizzate con una pittura liquida e luminosa, traslato stilistico della oro levità. Per quanto riguarda invece il gruppo romano l’ascendenza surrealista è evidente, ad esempio nella serie dell’Alfabetiere murale di Tomaso Binga, opera del 1977, riproposta, a distanza di trent’anni, in una sorta di visione del contemporaneo come presente della coscienza che, negli stessi giorni in cui si apriva la prima tappa del nostro viaggio cosmico, veniva identicamente proposta da Documenta. Impegnata nella cruciale questione del genere Binga trasforma il corpo femminile in lettera, cioè significante, mentre la composizione rimanda al mondo della scrittura e della scuola , dell’alfabetizzazione come liberazione e acquisizione di senso.
In Alessandro Alimenti la progressiva decantazione compositiva perviene ad una sorta di “ecologia visiva”, nella quale l’ingrandimento dei particolari, di dettato metafisico – surrealista, riporta alle Sculptures involontaires di Brassai per Dalì, svelando il potenziale estetico degli elementi del paesaggio visivo quotidiano. Maristella Campolunghi, operando con il medium fotografico , presenta il ciclo Fiori nudi in cui il rovesciamento del punto di vista consueto è il prodromo di un metamorfismo che rende irriconoscibili i soggetti, giungendo ad un’astrazione ambigua, di allure poetica e surrealista, mentre la maestria nel gioco compositivo delle penombre lumeggia uno spazio inafferrabile e sinuoso.
Nel lavoro di Sebastiano Messina, già il titolo della serie, Epoche, ovvero sospensione del giudizio, allude al temporaneo accantonamento delle facoltà logico – discorsive . Posto a tacere dunque il logos è possibile immergersi in un reale assoluto , che immediatamente si qualifica come surrealtà. E la fotografia, indice per eccellenza, traccia della realtà, è il mezzo d’elezione per costruire una nuova narrazione delle cose, come teorizzato da Rosalind Krauss nel suo Fotografia e Surrealismo.
Claudio Spoletini negli ultimi anni dipinge scene rarefatte e tacite su cui si staglia solitaria la sagoma delle fabbriche, catalogando in repertorio un’operazione di recupero memoriale collettivo , di cui trae il vocabolario iconografico da immagini d’epoca, tramandandone poi traccia nella sua pittura. Scomparsi gli operai e le operaie , uccisi dalla ferocia capitalista, resta, a surrogare la presenza umana, la collezione di giocattoli di latta , fuori scala e colorati, in una sottile allusione saviniana che conferma il suo subliminale neosurrealismo , demistificante e tragico, a dispetto della levità quasi aerea degli esiti estetici.
Nella pittura di Giovanna Picciau il ricordo di una ormai lontana fase magrittiana si fonde con più precisi ascendenti di realismo magico, ironicamente riassunti in una pittura di ascendenza Pop , nella libertà fantastica dell’immaginifica levitazione dei corpi o degli oggetti nello spazio, rese nelle forme lucide e suadenti di brillanti superfici cromatiche. La ludica, demistificante disposizione all’immediato edonismo visivo qualificano il grande appeal internazionale della sua operazione.
Bianca Pedace
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- dal 9 maggio al 10 giugno 2008 Stefano Martino - Soggettili
- dal 9 maggio al 10 giugno 2008 Riccardo Ghirardini - Navaho Cafè
- dal 4 aprile al 6 maggio 2008 Jill Mathis / Valerio Tedeschi
- dall'otto febbraio al primo aprile 2008 Gianluca Rosso / Nello Teodori
- dal 14 dicembre 2007 al 29 gennaio 2008 Ernesto Jannini / Fausto Morviducci
- dal 10 novembre all'undici dicembre 2007 Enzo Cacciola / Vittorio Valente
- dal 5 ottobre all'otto novembre 2007 Laboratorio Torino
- dal 7 settembre al 2 ottobre 2007 Luciano Gaglio / Adriano Leverone
- dal 22 giugno al 4 settembre 2007 Paolo Maggi / Antenore Rovesti
- dall'undici maggio al 20 giugno 2007 Angelo Barile / Giancarlo Scagnolari
- dal 16 marzo all'otto maggio 2007 Francesca Maranetto Gay / Francesca Renolfi
- dal 9 febbraio al 13 marzo 2007 Vincenzo Marsiglia / Gianfranco Zappettini
- dal 15 dicembre 2006 al 23 gennaio 2007 Intersezioni : 6+6
- dall'undici novembre al 12 dicembre 2006 Daniele Contavalli / Patrizia Nuvolari
- dal 22 settembre al 9 novembre 2006 Ale Guzzetti / Albano Morandi
- gio 15 giugno 2006 Un dollaro d'arte : 22 artisti per i bambini di Città del Guatemala
- dal 26 maggio al 19 settembre 2006 Matilde Domestico / Stefano Spagnoli
- dal 28 aprile al 23 maggio 2006 Gianluca Chiodi / Laurence Ursulet
- dal 17 marzo al 18 aprile 2006 L’immagine reincantata
- dal 16 dicembre 2005 al 7 marzo 2006 Luciano Gaglio / Alessandro Rivoir
- dall'undici novembre al 13 dicembre 2005 Roberta Fanti / Liliana Salone
- dal 23 settembre all'otto novembre 2005 Gabriele Gaidano / Davide Mancosu
- dal 17 giugno al 16 settembre 2005 Guido Bagini / Silvia Fubini
- dal 13 maggio al 10 giugno 2005 Un dollaro d'arte : 27 artisti per i bambini di Città del Guatemala
- dal 18 marzo al 6 maggio 2005 La contemporaneità evocata: nuova pittura in Italia
- al 4 febbraio al primo marzo 2005 Gaetano Bùttaro / Vittorio Valente
- dal 10 dicembre 2004 al 18 gennaio 2005 Carlo Giuliano / Ferruccio D'Angelo
- dal 12 novembre al 7 dicembre 2004 Bruno Sacchetto / Daniele Contavalli
- dal 17 settembre al 12 ottobre 2004 Ernesto Jannini – Roberto Zizzo
- dal 18 giugno al 30 luglio 2004 Carmine Calvanese - Gianluca Rosso
- dal 19 maggio al 15 giugno 2004 Occhio Magico / Johannes Dario Molinari
- dal 16 aprile al 12 maggio 2004 Beppe Dellepiane / Claudio Spoletini
- dal 27 marzo al 14 aprile 2004 Eleonora Chiesa - W.008/2003 :: W.010/2004
- dal 30 gennaio al 4 marzo 2004 Fathi Hassan / Daniela Carati
- dal 5 dicembre 2003 al 23 gennaio 2004 Guido Castagnoli / Gianluca Nibbi
- al 19 settembre al 25 ottobre 2003 Claudio Costa - Patrizia Buldrini
- dal 6 giugno al 31 luglio 2003 Group Show
- dal 9 maggio al 10 giugno 2008 Stefano Martino - Soggettili
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