LE INTERVISTE INAUDITE
di Linda Azzarone
di Linda Azzarone
Valeria Dardano davanti alla sua opera BIG BLACK HOLE.
Courtesy Fusion Art Gallery / Inaudita © D. Zambotti 2018. |
L’oscurità che abbaglia
Intervista a Valeria Dardano di Linda Azzarone pubblicata su SMALL ZINE il 3 Luglio 2018 VAI ALLA PAGINA dell'ARTISTA Linda Azzarone/ Valeria, tu sei l’artista più giovane della Fusion Art Gallery/INAUDITA di Torino. Il 13 gennaio la tua mostra ha aperto la stagione espositiva 2018-19 della galleria, tre mesi dopo esserti specializzata in Scultura all’Accademia Albertina. A 24 anni possiedi già un curriculum di tutto rispetto che vanta numerose competizioni internazionali, collaborazioni e premi importanti. Come sei nata artisticamente e quali influenze hai subito?
Valeria Dardano/ Se penso alla prima volta che ho avuto a che fare con l’arte il mio ricordo risale al fango. Ho sempre vissuto in montagna e da bambina amavo giocare con la terra e l’acqua. A quel tempo avevo già voglia di esprimermi a 360 gradi, un bisogno che mi ha spinta ad intraprendere gli studi artistici. I richiami all’organico e al naturale sono rimasti una costante nel mio percorso e ciò contrasta con il materiale sintetico che utilizzo nelle sculture. Questo aspetto riflette un po’ la mia vicenda personale, perché mi sono trasferita da un piccolo paese in provincia di Catanzaro, Albi, ad una grande città, Torino. Infatti i miei primi lavori erano realizzati con materiali naturali come l’intreccio dei rovi e all’inizio per me è stato un trauma abitare in un luogo dove non mi era più possibile farlo. Tuttavia le mie opere ne hanno risentito in senso positivo, perché sono cambiate con me. Per quanto riguarda le influenze che ho avuto: la prima è stata quella di Pietro Fortuna, docente all’Accademia di Belle Arti di Catanzaro, che con le sue lezioni mi ha catapultata nel mondo dell’arte contemporanea; dopodiché ho approfondito la parte psicologica con il professor Luca Vasta, che mi ha mostrato la strada verso il mondo dell’inconscio; infine ho proseguito i miei studi all’Accademia Albertina di Torino, dove ho subito l’influenza di Mario Airò e di Franko B. LA/ La tua prima personale, curata da Barbara Fragogna, si intitola Delivery status notification_failure ed è il proseguimento del tuo progetto di tesi. Parlami del tema dell’esposizione e del tuo rapporto con la Fusion/INAUDITA. VD/ Ho conosciuto Barbara e la galleria due anni fa. Tra di noi c’è stato subito un confronto positivo che ha portato alla realizzazione della mostra. Delivery status notification_failure è l’email che si riceve quando il messaggio inviato non arriva al destinatario. Ho trovato un’affinità tra questa mancata ricezione e la frenesia dei tempi moderni, che ci impedisce di avere un rapporto con la nostra parte più profonda, onirica e simbolica. Il titolo diventa inoltre un’opera della mostra, la più forte dal punto di vista concettuale, che ne riassume tutta la poetica. LA/ Delivery status notification_failure invita dunque lo spettatore a “disconnettersi” dalla routine quotidiana per riscoprire la propria dimensione interiore. In che modo questo tema è affrontato dalle tue sculture? VD/ Dici bene, il mio intento è proprio quello di creare una dimensione apparentemente sinistra che induca a riflettere sulle modalità di percezione della forma da parte del subconscio. L’opera più importante dell’esposizione infatti è quella che crea lo spettatore dentro di sé. Il lavoro che faccio indaga la mia dimensione interiore, sta poi all’osservatore percepire a suo modo il risultato. I miei lavori non vogliono imporre al pubblico una certa visione, bensì metterlo di fronte alla propria ombra. Il lato ombra di cui parla Jung è un tema a cui sono molto affezionata. A mio parere, ogni individuo dovrebbe fare i conti con la sua dimensione oscura invece di ignorarla. Sono convinta che per cambiare le cose all’interno della società bisogna prima cominciare da noi stessi. LA/ C’è un’opera esposta a cui ti senti particolarmente legata? VD/ Il lavoro a cui mi sento più legata è sicuramente Big Black Hole. LUI si presenta come un grande buco nero da cui non si fa ritorno, ma potrebbe anche essere interpretato come un passaggio: un gigantesco stargate che conduce nella dimensione sconosciuta e inquietante dell’inconscio. L’opera è costruita con materiali industriali e inganna l’osservatore sia nel peso, perché è più leggera di quanto si creda, sia nel materiale che sembra naturale ma non lo è. Big Black Hole è stato il mio Big Bang, il momento in cui ho deciso di esplodere. È il magma che era dentro di me condensatosi in un’unica forma. Lo considero davvero un grande autoritratto! LA/ Cos’è per te la scultura e come si svolge il tuo processo creativo? VD/ La scultura è la mia malattia, ma anche la mia cura. La reputo uno strumento di autoanalisi, perché mi aiuta a capire me stessa. È la fonte dei miei sfoghi, delle mie frustrazioni e paure, che si materializzano in un caos sempre ordinato. Quando mi capita di osservare a freddo il ciclo di Delivery status notification_failure rimango stupita e quasi spaventata dalla consapevolezza di averlo creato io. La scultura è anche un mezzo che mi permette di accettare la mia parte più nascosta. Credo che sia importante avere una visione completa di sé per quanto sia difficile. Come dice infatti il titolo della mostra è impossibile conoscere a fondo noi stessi, ma ritagliandoci il tempo e lo spazio necessario attraverso la meditazione si può arrivare a un buon risultato. LA/ Le opere esposte alla Fusion/INAUDITA hanno tutte una visione preferenziale, sono nere e dalle forme organiche. Qual è il tuo rapporto con la materia e il colore? VD/ Con la materia ho un rapporto vivo. Per me la materia non è qualcosa di inerte, ma possiede vita propria: lascio che faccia il suo corso e cerco di sfruttare al massimo le sue potenzialità. I materiali che utilizzo non sono facili da gestire. Questo è un difetto e un pregio al tempo stesso, perché se da un lato mi mettono in difficoltà, dall’altro riescono ad esprimersi da soli. Mi piace che la materia abbia questa libertà! Il colore scuro invece è legato all’analisi della mia dimensione interiore. Il nero in particolare richiama l’oscurità degli abissi. È l’assenza del colore, ma al tempo stesso la somma di tutti i colori. Il nero per me dice tutto. LA/ Hai mai progettato un intervento diretto sull’ambiente o intendi farlo in futuro? VD/ Sì, a settembre ho realizzato un’opera ambientale durante la mia residenza artistica in Portogallo. Mi piace molto interagire con il luogo in cui mi trovo e fare in modo che la mia scultura comunichi con lo spazio. Anche per Delivery status notification_failure ho creato un intervento site specific e sicuramente ce ne saranno altri. LA/ Per finire, raccontami del tuo progetto editoriale Mindscape che uscirà a luglio. VD/ Mindscape è una piccola opera d’arte fotografica racchiusa in una scatola-scultura. È un’edizione limitata di 5 esemplari, ognuno dei quali contiene 5 fotografie che raffigurano i materiali delle mie sculture in fase di lavorazione. Ho voluto immortalare la vitalità del catrame, della terra e della colla quando non sono ancora asciutti e hanno un aspetto fluido e vischioso. Queste immagini sono geografie delle mente, rappresentano una somma dei paesaggi naturali impressi nella mia memoria. |