DAVIES ZAMBOTTI // Scomodi Dialoghi
dal 9.6 al 28.7.2018
dal 9.6 al 28.7.2018
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Visioni personali e universali
di Monica Trigona “Scomodi Dialoghi” è il titolo sibillino della mostra (...) |
Davies Zambotti
Scomodi Dialoghi a cura di Barbara Fragogna Inaugurazione sabato 9 giugno - h. 19 dal 9.6 al 28.7.2018 Gio - Sab // 16 - 19.30 e su appuntamento La Fusion Art Gallery - Inaudita presenta la mostra Scomodi Dialoghi di Davies Zambotti, regista/fotografa che ha lavorato in molti set cinematografici, tra cui "Sorelle Mai" di Marco Bellocchio, "I Galantuomini" di Edoardo Winspeare, "The International" di Tomy Tykwer. La mostra è un'installazione fotografica e video nella quale l’oscuro dibattito tra la corsa del tempo e la frenesia atarassica della stasi innescano un’epopea notturna dove le dimensioni s’incrociano creando paesaggi polivalenti e alieni.
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Nell'ambito della prima edizione di Fo.To. Fotografi a Torino, che si svolge dal 3 maggio al 29 luglio 2018
Fusion / Inaudita è un progetto di
Associazione INAUDITA In collaborazione con: Edizioni Inaudite, Fo.To - Fotografi a Torino, Museo Ettore Fico, ContemporaryArt Torino+Piemonte, COLLA/To contemporary art network NEsxT / Independent Art Network |
La mostra rientra nell'ambito della prima edizione di Fo.To. Fotografi a Torino, che si svolge dal 3 maggio al 29 luglio 2018 ed è promossa e realizzata dal MEF - Museo Ettore Fico in collaborazione con le realtà aderenti all'iniziativa, la kermesse è stata ideata dal direttore del MEF, Andrea Busto.
Fusion/Inaudita è parte dei circuiti NEsxT – Indepentent Art Festival, COLLA e di ContemporaryArt Torino e Piemonte.
Fusion/Inaudita è parte dei circuiti NEsxT – Indepentent Art Festival, COLLA e di ContemporaryArt Torino e Piemonte.
L’intrigo dello spostamento lineare
di Barbara Fragogna
„Io baso tutte le mie decisioni sull'intuizione. Io tiro un dardo nell'oscurità. Quella è intuizione.
Poi devo mandare un esercito nell'oscurità per cercare il dardo. Quello è intelletto.“ – Ingmar Bergman
L’oscuro dibattito tra la corsa del tempo e la frenesia atarassica della stasi innescano un’epopea notturna dove le dimensioni s’incrociano creando paesaggi polivalenti e alieni. Il tempo è una distanza tra il passato e il futuro, una massa. Il tempo è la sintesi del momento presente, lo scatto, il frame, lo still. Anche quando la pellicola corre (perché le fotografie, i progetti di Davies Zambotti sono cinema) tutto è fermo sospeso ma in moto, l’immobile saetta sul tapis roulant, lo schermo totem, l’ologramma 3D dell’illusione 2D, la caduta nel pozzo nero che, precipitando, rimpicciolisce (slow motion) l’oggetto centrale (sempre biancastro) fino al click, la vibrazione che è l’imprescindibile sostanza della materia. Non siamo mai fermi, neanche quando siamo immobili, la mente elabora, il sangue scorre, l’infinitesimamente piccolo ribolle e scalpita. Il lavoro di Davies è così. L’apparentemente minimale che sotto la lente è ornato guazzabuglio. Si sente il rumore. Si vede il “rumore” come una cellula al microscopio, come la macro di una cartolina d’epoca.
Scomodi dialoghi si svolgono tra Sé e Sé. Due identità distinte dello stesso individuo, due momenti, un confronto anacronistico, un tentativo fallimentare che si risolve nonostante tutto. Un viaggio proteso in avanti che cerca soluzioni circolari dentro e fuori, che evolve per svolgersi in due passaggi, prima e dopo, avanti e indietro, spazio e distanza, meta e bersaglio, nostalgia asfissiante, ricordi ricostruiti dalle macerie dell’esperienza e dell’esasperazione, tragedia dell’entropia. Il ricordo è imperfetto, falso ma onesto. Comunque.
Luce propria nel buio. Lume che ad ogni passo spegne e accende, spegne e accende. Dice e tace. “Quanto dista l’alba?”, l’orizzonte è un parametro, una necessità intellettuale che giustifica un giudizio. Il sole non sorge. La gravità s’impone. Le leggi naturali sono troppo semplici per le necessità dell’Ego che desidera piuttosto onnipotenza e miseria. Che grida miseria. Che reclama onnipotenza. L’incedere brucia le tappe della percezione e la ragione viene meno davanti alle mille possibilità comandate dall’esigenza sociale. La ragione, tutto sommato, è esistenziale.
Quelle cremose e sgargianti scie, quelle meravigliose strisciate di campi che si sovrappongono e permeano sono gli strati sedimentari del pensiero vigile, sono le storie di tutte le vite che compongono il paesaggio sovrapponendosi, sono il passaggio/portale verso un riflesso più chiaro del paradosso privato. Le bulbose e raggianti entità sospese nel nero sono mostri degli abissi, navicelle aliene, chimere mitiche, divinità recondite, fulcri di opportunità manifeste, conclamazioni di dignità nell’essere, grumi di magma energetico, poli d’attrazione sensoriale e critica, dichiarazioni di presenza concreta. Navigo e volo, corro e scivolo. Interpretazioni di “fondo”.
I dialoghi scomodamente c’interrogano sul senso dell’impostazione di default.
Davies ci offre delle possibilità, degli spunti di vista, calibra il navigatore sul “vai-dove-vuoi-ma-seguimi” e nel buio ci lascia immaginare l’unica e temporaneamente assoluta, sua personale verità.
di Barbara Fragogna
„Io baso tutte le mie decisioni sull'intuizione. Io tiro un dardo nell'oscurità. Quella è intuizione.
Poi devo mandare un esercito nell'oscurità per cercare il dardo. Quello è intelletto.“ – Ingmar Bergman
L’oscuro dibattito tra la corsa del tempo e la frenesia atarassica della stasi innescano un’epopea notturna dove le dimensioni s’incrociano creando paesaggi polivalenti e alieni. Il tempo è una distanza tra il passato e il futuro, una massa. Il tempo è la sintesi del momento presente, lo scatto, il frame, lo still. Anche quando la pellicola corre (perché le fotografie, i progetti di Davies Zambotti sono cinema) tutto è fermo sospeso ma in moto, l’immobile saetta sul tapis roulant, lo schermo totem, l’ologramma 3D dell’illusione 2D, la caduta nel pozzo nero che, precipitando, rimpicciolisce (slow motion) l’oggetto centrale (sempre biancastro) fino al click, la vibrazione che è l’imprescindibile sostanza della materia. Non siamo mai fermi, neanche quando siamo immobili, la mente elabora, il sangue scorre, l’infinitesimamente piccolo ribolle e scalpita. Il lavoro di Davies è così. L’apparentemente minimale che sotto la lente è ornato guazzabuglio. Si sente il rumore. Si vede il “rumore” come una cellula al microscopio, come la macro di una cartolina d’epoca.
Scomodi dialoghi si svolgono tra Sé e Sé. Due identità distinte dello stesso individuo, due momenti, un confronto anacronistico, un tentativo fallimentare che si risolve nonostante tutto. Un viaggio proteso in avanti che cerca soluzioni circolari dentro e fuori, che evolve per svolgersi in due passaggi, prima e dopo, avanti e indietro, spazio e distanza, meta e bersaglio, nostalgia asfissiante, ricordi ricostruiti dalle macerie dell’esperienza e dell’esasperazione, tragedia dell’entropia. Il ricordo è imperfetto, falso ma onesto. Comunque.
Luce propria nel buio. Lume che ad ogni passo spegne e accende, spegne e accende. Dice e tace. “Quanto dista l’alba?”, l’orizzonte è un parametro, una necessità intellettuale che giustifica un giudizio. Il sole non sorge. La gravità s’impone. Le leggi naturali sono troppo semplici per le necessità dell’Ego che desidera piuttosto onnipotenza e miseria. Che grida miseria. Che reclama onnipotenza. L’incedere brucia le tappe della percezione e la ragione viene meno davanti alle mille possibilità comandate dall’esigenza sociale. La ragione, tutto sommato, è esistenziale.
Quelle cremose e sgargianti scie, quelle meravigliose strisciate di campi che si sovrappongono e permeano sono gli strati sedimentari del pensiero vigile, sono le storie di tutte le vite che compongono il paesaggio sovrapponendosi, sono il passaggio/portale verso un riflesso più chiaro del paradosso privato. Le bulbose e raggianti entità sospese nel nero sono mostri degli abissi, navicelle aliene, chimere mitiche, divinità recondite, fulcri di opportunità manifeste, conclamazioni di dignità nell’essere, grumi di magma energetico, poli d’attrazione sensoriale e critica, dichiarazioni di presenza concreta. Navigo e volo, corro e scivolo. Interpretazioni di “fondo”.
I dialoghi scomodamente c’interrogano sul senso dell’impostazione di default.
Davies ci offre delle possibilità, degli spunti di vista, calibra il navigatore sul “vai-dove-vuoi-ma-seguimi” e nel buio ci lascia immaginare l’unica e temporaneamente assoluta, sua personale verità.
DAVIES ZAMBOTTI è una Regista/Fotografa che ha lavorato in molti set cinematografici, tra cui "Sorelle Mai" di Marco Bellocchio, "I Galantuomini" di Edoardo Winspeare, "The International" di Tomy Tykwer.
Attraverso i suoi lavori personali, ricerca e analizza l impossibilità della certezza umana, utilizzando il video e la fotografia come un microscopio, una lente con cui poter osservare le ombre fra gli interstizi del quotidiano.
Dopo il Liceo Artistico ha studiato Pittura presso l'accademia "Albertina" di Torino,
Regia e Produzione Audio/Video a Milano e partecipato ad una Masterclass tenuta da Marco Bellocchio.
Lavora fra Torino, Milano e Venezia.
Selezionata da Malamegi Lab arts laboratory per la mostra a cura di Sveva Manfredi Zavaglia allo Spazio MATER- Loft Gallery , Roma | LINK
Selected for CIVILIZATION EDITORS' PICK Life Framer | LINK . Official Selection for HopeFilmAwards . Semifinalista Cortosplash IV edizione
Condensa, collettiva @ Fusion Art Gallery, Torino a cura di Barbara Fragogna . Partecipazione ad Legami-Vincoli Familiari Palazzetto Widmann, Padova . Pubblicazione nel volume ii "Il corpo solitario. L'autoscatto nella fotografia contemporanea" di Giorgio Bonomi . Semi-finalist @ LosAngeles CineFest . Partecipazione ad OUT of PLACE in Berlin. Partecipazione a mostra collettiva “Il Salottino Irrilevante” , Fusion Art Gallery Torino . “INTERSTIZI” Mostra Personale, cccTo EX BIRRIFICIO METZGER, Torino. “THE BIG SHOW” cccTo EX BIRRIFICIO METZGER, Torino. Partecipazione mostra collettiva “Nuovi Yorkers” NOoSPHERE Arts, New York City . Partecipazione mostra collettiva “Planete Amoureuse", spazio Oxygen Milano. Partecipazione mostra collettiva “Planete Amoureuse” spazio Pomezia 1-Milano. Partecipazione alla mostra collettiva “Nuove Impressioni 09”. TP
Attraverso i suoi lavori personali, ricerca e analizza l impossibilità della certezza umana, utilizzando il video e la fotografia come un microscopio, una lente con cui poter osservare le ombre fra gli interstizi del quotidiano.
Dopo il Liceo Artistico ha studiato Pittura presso l'accademia "Albertina" di Torino,
Regia e Produzione Audio/Video a Milano e partecipato ad una Masterclass tenuta da Marco Bellocchio.
Lavora fra Torino, Milano e Venezia.
Selezionata da Malamegi Lab arts laboratory per la mostra a cura di Sveva Manfredi Zavaglia allo Spazio MATER- Loft Gallery , Roma | LINK
Selected for CIVILIZATION EDITORS' PICK Life Framer | LINK . Official Selection for HopeFilmAwards . Semifinalista Cortosplash IV edizione
Condensa, collettiva @ Fusion Art Gallery, Torino a cura di Barbara Fragogna . Partecipazione ad Legami-Vincoli Familiari Palazzetto Widmann, Padova . Pubblicazione nel volume ii "Il corpo solitario. L'autoscatto nella fotografia contemporanea" di Giorgio Bonomi . Semi-finalist @ LosAngeles CineFest . Partecipazione ad OUT of PLACE in Berlin. Partecipazione a mostra collettiva “Il Salottino Irrilevante” , Fusion Art Gallery Torino . “INTERSTIZI” Mostra Personale, cccTo EX BIRRIFICIO METZGER, Torino. “THE BIG SHOW” cccTo EX BIRRIFICIO METZGER, Torino. Partecipazione mostra collettiva “Nuovi Yorkers” NOoSPHERE Arts, New York City . Partecipazione mostra collettiva “Planete Amoureuse", spazio Oxygen Milano. Partecipazione mostra collettiva “Planete Amoureuse” spazio Pomezia 1-Milano. Partecipazione alla mostra collettiva “Nuove Impressioni 09”. TP
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SELECTED AVAILABLE WORKS (currently on view at the gallery):
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PRESSO LA FUSION ART GALLERY:
ENRICO TEALDI . DAVIES ZAMBOTTI . ETTORE PINELLI
CONDENSA
Inaugurazione sabato 21 gennaio ore 19
CONDENSA
Inaugurazione sabato 21 gennaio ore 19
Enrico Tealdi
Davies Zambotti Ettore Pinelli CONDENSA a cura di Barbara Fragogna Inaugurazione sabato 21 gennaio ore 19 dal 21.1 al 25.2.2017 Gio - Sab // 16 - 19.30 e su appuntamento |
Websites:
Enrico Tealdi Davies Zambotti Ettore Pinelli In collaborazione con: Fusion Project, Edizioni Inaudite, e nel'ambito di COLLA/To contemporary art network NEsxT / Independent Art Network ContemporaryArt Torino+Piemonte |
CONDENSA/CONDENSE
di Barbara Fragogna
"L'incertezza è l'habitat naturale della vita umana, sebbene la speranza di sfuggire ad essa sia il motore delle attività umane. Sfuggire all'incertezza è un ingrediente fondamentale, o almeno il tacito presupposto, di qualsiasi immagine composita della felicità. È per questo che una felicità "autentica, adeguata e totale" sembra rimanere costantemente a una certa distanza da noi: come un orizzonte che, come tutti gli orizzonti, si allontana ogni volta che cerchiamo di avvicinarci a esso." - Zygmunt Bauman
Venuta meno l'influenza anestetizzante dell'abitudine, mi mettevo a pensare, a sentire cose infinitamente tristi. – Marcel Proust
L’acqua di condensazione si frammenta in particole a volte estese e a volte minuscole e diventa schermo/filtro/lente per osservare, traducendolo in senso, il circostante. La condensa agglutina/sintetizza/addensa l’umore dell’occhio come un vapore, una nebbia che sale dal sedimento substrato transitando l’immagine-ricordo dal passato al presente. Sembra che ci sia un velo effimero a separare la nitidezza del reale dalla nostra percezione conscia ma nel lavoro di Tealdi, Zambotti e Pinelli, nonostante la peculiarità dei rispettivi casi specifici, si tratta sempre di un velo integrato, atmosfera lattiginosa incisa sulla retina, aria polverosa di un esistenzialismo fuori moda ma onesto e per questo puntuale, un tessuto di garza logoro di esperienze.
In Enrico Tealdi la condensa s’intride di memoria umida, uno sguardo apparentemente lontano che cerca indistinte figure di bagnanti che sono pagliuzze d’oro setacciate in Batee di carta e pigmento e velatura e tempo.. e tempo. Sembra di sentirla, la sabbia raspare sulla superficie diradando per scoprirne i preziosi ricordi, le persone perdute. E sembra di vederle apparire (ma non ci sono, sono chimere) dai campi da calcio solitari nei Nimbi, la poesia. C’è un silenzio profondo fatto di onde, vento, erba, mormorii, bisbigli e sussurri, c’è l’attesa e la stasi, c’è sospensione di movimento, c’è il pensiero, c’è la presenza fisica e pesante di tutto questo. I lavori sono distese sterminate addensate su piccolo formato, un nucleo precipitato che contiene il potenziale dell’esplosione del sentimento, ancora, la poesia esistenziale e malinconica, il delirio.
In Davies Zambotti la condensa è il fiato dalla bocca, sul vetro. Di oblò/sportelli/boccaporti, finestre sull’oltre. Il filtro è fotografico doppio o multiplo: occhio/lente/vetro/nebbia. Nelle sue Lande rincorre il fuoco fisso del movimento. La sfocatura e la dissolvenza, il paesaggio dirada e ritorna, dirada e ritorna, dirada e ritorna… un mantra, da dentro a fuori e viceversa. Il pensiero circolare, il loop compulsivo fugge ed evapora poi torna. La memoria è famigliare, i ritorni vengono sempre, sempre, sempre dal passato. Remoto. Condensa-densa come piombo. La pellicola è il suo viluppo e lo schermo non la protegge perché lo schermo è vacuo e osmotico. I paesaggi sfuggono, con uno sforzo istintivo cerchiamo di vederli nitidi ma non possiamo. Dopo un attimo ci abbandoniamo in essi lasciando che diventino lo spazio/interstizio, portale che, senza rendercene conto, apre un varco nel pensiero. Perdendosi nel privato.
In Ettore Pinelli la condensa è obnubilante. Un latte vischioso che sfuma nei toni pastello arancio-azzurro-grigio e che avvolge e confonde figure umane in azione. Nel ciclo di lavori su tela e su carta A Way To Stand Out infatti i soggetti tentano di “emergere”, in quanto sommersi e i livelli di lettura sono isobate. L’impianto della composizione è fuorviante e la metafora della marea che nel suo moto occulta e protegge descrive l’ambivalenza del messaggio latente. I toni soffusi, morbidi e sinuosi delle monocromie attirano lo sguardo inducendo i sensi ad abbandonarsi ad uno stato di pace “estetica/estatica” mentre poi, a voler ben cercare/capire/scandagliare (ed è fondamentale che ci sia la volontà di fare o non fare questo sforzo) ci si ritrova a fare i conti col soggetto, sempre violento e aggressivo, specchio perturbante di un aspetto della società contemporanea con la quale l’artista ci vuole confrontare. La natura umana sub-conscia.
Enrico Tealdi, Davies Zambotti ed Ettore Pinelli ci istigano, attraverso la distorsione delle loro visioni condensate ed intime, ad interpretare la realtà scavalcando “l’influenza anestetizzante dell’abitudine” proustiana per ritrovare “nel pensiero delle cose infinitamente tristi” un caleidoscopio complementare di interpretazioni/risoluzioni/intuizioni del e sul quotidiano. Una nota a margine da non sorvolare.
BIOs IN BREVE
Enrico Tealdi vive e lavora tra Cuneo e Torino.
Il suo lavoro è stato descritto come una poesia che si esprime con la pittura su carta ed installazioni che raccontano storie di affetti, legami, abbandoni e solitudini. Le sue opere parlano della nostalgia che si appropria degli oggetti, dei luoghi; della non curanza che ha l'uomo verso se stesso e il suo destino, in un' atmosfera di sospensione e mistero. Ha esposto in Italia e all'estero in mostre personali e collettive.
Davies Zambotti, vive e lavora tra Milano e Torino.
Attraverso i suoi lavori personali, ricerca e analizza l impossibilità della certezza umana, utilizzando il video e la fotografia come un microscopio, una lente con cui poter osservare le ombre fra gli interstizi del quotidiano.
Ettore Pinelli, vive e lavora a Modica.
“La mia ricerca inizia stando seduto davanti a uno schermo, facendomi permeare dalla potenza di certe immagini e scenari saturi di violenza. Scontri, sommosse e predominio, sono termini che ricorrono spesso all’interno di alcuni meccanismi nella mia pratica, a volte come decise iconografie e altre come fattori di analisi politica e sociale, quello che mi interessa maggiormente sottolineare, è la deriva di queste immagini, una sorta di distillazione perpetua, incontrollata e senza soluzione, che mostra un volto inquietante e veritiero del nostro presente. La pratica della pittura e del disegno sono i metodi di restituzione del pensiero che ho scelto, sono quelli più vicini alla mia sensibilità e che in qualche modo mi hanno sempre affascinato con tutte le loro dinamiche interne, dinamiche che cerco di fare affiorare in superficie in un movimento transitorio dalla figurazione verso l’astrazione, negando e distruggendo, avvicinandomi e allontanandomi, in una sorta di zoom in cui la volontà della pittura e del disegno sovrastano la mia.”
di Barbara Fragogna
"L'incertezza è l'habitat naturale della vita umana, sebbene la speranza di sfuggire ad essa sia il motore delle attività umane. Sfuggire all'incertezza è un ingrediente fondamentale, o almeno il tacito presupposto, di qualsiasi immagine composita della felicità. È per questo che una felicità "autentica, adeguata e totale" sembra rimanere costantemente a una certa distanza da noi: come un orizzonte che, come tutti gli orizzonti, si allontana ogni volta che cerchiamo di avvicinarci a esso." - Zygmunt Bauman
Venuta meno l'influenza anestetizzante dell'abitudine, mi mettevo a pensare, a sentire cose infinitamente tristi. – Marcel Proust
L’acqua di condensazione si frammenta in particole a volte estese e a volte minuscole e diventa schermo/filtro/lente per osservare, traducendolo in senso, il circostante. La condensa agglutina/sintetizza/addensa l’umore dell’occhio come un vapore, una nebbia che sale dal sedimento substrato transitando l’immagine-ricordo dal passato al presente. Sembra che ci sia un velo effimero a separare la nitidezza del reale dalla nostra percezione conscia ma nel lavoro di Tealdi, Zambotti e Pinelli, nonostante la peculiarità dei rispettivi casi specifici, si tratta sempre di un velo integrato, atmosfera lattiginosa incisa sulla retina, aria polverosa di un esistenzialismo fuori moda ma onesto e per questo puntuale, un tessuto di garza logoro di esperienze.
In Enrico Tealdi la condensa s’intride di memoria umida, uno sguardo apparentemente lontano che cerca indistinte figure di bagnanti che sono pagliuzze d’oro setacciate in Batee di carta e pigmento e velatura e tempo.. e tempo. Sembra di sentirla, la sabbia raspare sulla superficie diradando per scoprirne i preziosi ricordi, le persone perdute. E sembra di vederle apparire (ma non ci sono, sono chimere) dai campi da calcio solitari nei Nimbi, la poesia. C’è un silenzio profondo fatto di onde, vento, erba, mormorii, bisbigli e sussurri, c’è l’attesa e la stasi, c’è sospensione di movimento, c’è il pensiero, c’è la presenza fisica e pesante di tutto questo. I lavori sono distese sterminate addensate su piccolo formato, un nucleo precipitato che contiene il potenziale dell’esplosione del sentimento, ancora, la poesia esistenziale e malinconica, il delirio.
In Davies Zambotti la condensa è il fiato dalla bocca, sul vetro. Di oblò/sportelli/boccaporti, finestre sull’oltre. Il filtro è fotografico doppio o multiplo: occhio/lente/vetro/nebbia. Nelle sue Lande rincorre il fuoco fisso del movimento. La sfocatura e la dissolvenza, il paesaggio dirada e ritorna, dirada e ritorna, dirada e ritorna… un mantra, da dentro a fuori e viceversa. Il pensiero circolare, il loop compulsivo fugge ed evapora poi torna. La memoria è famigliare, i ritorni vengono sempre, sempre, sempre dal passato. Remoto. Condensa-densa come piombo. La pellicola è il suo viluppo e lo schermo non la protegge perché lo schermo è vacuo e osmotico. I paesaggi sfuggono, con uno sforzo istintivo cerchiamo di vederli nitidi ma non possiamo. Dopo un attimo ci abbandoniamo in essi lasciando che diventino lo spazio/interstizio, portale che, senza rendercene conto, apre un varco nel pensiero. Perdendosi nel privato.
In Ettore Pinelli la condensa è obnubilante. Un latte vischioso che sfuma nei toni pastello arancio-azzurro-grigio e che avvolge e confonde figure umane in azione. Nel ciclo di lavori su tela e su carta A Way To Stand Out infatti i soggetti tentano di “emergere”, in quanto sommersi e i livelli di lettura sono isobate. L’impianto della composizione è fuorviante e la metafora della marea che nel suo moto occulta e protegge descrive l’ambivalenza del messaggio latente. I toni soffusi, morbidi e sinuosi delle monocromie attirano lo sguardo inducendo i sensi ad abbandonarsi ad uno stato di pace “estetica/estatica” mentre poi, a voler ben cercare/capire/scandagliare (ed è fondamentale che ci sia la volontà di fare o non fare questo sforzo) ci si ritrova a fare i conti col soggetto, sempre violento e aggressivo, specchio perturbante di un aspetto della società contemporanea con la quale l’artista ci vuole confrontare. La natura umana sub-conscia.
Enrico Tealdi, Davies Zambotti ed Ettore Pinelli ci istigano, attraverso la distorsione delle loro visioni condensate ed intime, ad interpretare la realtà scavalcando “l’influenza anestetizzante dell’abitudine” proustiana per ritrovare “nel pensiero delle cose infinitamente tristi” un caleidoscopio complementare di interpretazioni/risoluzioni/intuizioni del e sul quotidiano. Una nota a margine da non sorvolare.
BIOs IN BREVE
Enrico Tealdi vive e lavora tra Cuneo e Torino.
Il suo lavoro è stato descritto come una poesia che si esprime con la pittura su carta ed installazioni che raccontano storie di affetti, legami, abbandoni e solitudini. Le sue opere parlano della nostalgia che si appropria degli oggetti, dei luoghi; della non curanza che ha l'uomo verso se stesso e il suo destino, in un' atmosfera di sospensione e mistero. Ha esposto in Italia e all'estero in mostre personali e collettive.
Davies Zambotti, vive e lavora tra Milano e Torino.
Attraverso i suoi lavori personali, ricerca e analizza l impossibilità della certezza umana, utilizzando il video e la fotografia come un microscopio, una lente con cui poter osservare le ombre fra gli interstizi del quotidiano.
Ettore Pinelli, vive e lavora a Modica.
“La mia ricerca inizia stando seduto davanti a uno schermo, facendomi permeare dalla potenza di certe immagini e scenari saturi di violenza. Scontri, sommosse e predominio, sono termini che ricorrono spesso all’interno di alcuni meccanismi nella mia pratica, a volte come decise iconografie e altre come fattori di analisi politica e sociale, quello che mi interessa maggiormente sottolineare, è la deriva di queste immagini, una sorta di distillazione perpetua, incontrollata e senza soluzione, che mostra un volto inquietante e veritiero del nostro presente. La pratica della pittura e del disegno sono i metodi di restituzione del pensiero che ho scelto, sono quelli più vicini alla mia sensibilità e che in qualche modo mi hanno sempre affascinato con tutte le loro dinamiche interne, dinamiche che cerco di fare affiorare in superficie in un movimento transitorio dalla figurazione verso l’astrazione, negando e distruggendo, avvicinandomi e allontanandomi, in una sorta di zoom in cui la volontà della pittura e del disegno sovrastano la mia.”